di Nino Oddo
In Ucraina si vedono in lontananza le avvisaglie di un possibile cessate il fuoco. Questa è una notizia positiva. Peccato che non sia il frutto dell’azione delle diplomazie volte a convincere i contendenti dell’esigenza di sedersi ad un tavolo. Ma sono state la forza delle armi, il numero dei soldati e la voglia di vincere di Putin e dei russi che stanno costringendo Zelenskj ad accettare la situazione di fatto sui campi di battaglia. È una situazione simile a quella che si registrò nel 1939, quando i Paesi occidentali accettarono la conquista dei Sudeti da parte della Germania nazista. Convinti che avrebbe così saziato la fame di conquista di Hitler. Anche stavolta la speranza sembra essere quella che Putin “si sazi” con il Donbas e la Crimea. L’opinione pubblica europea è stanca della guerra, l’avverte come una cosa lontana che però ha inciso negativamente sulle nostre tasche. Una questione che prima finisce e meglio è. Del resto dove ha fallito la diplomazia avevano prima fallito gli embarghi economici, entrambi sconfitti dai missili balistici russi, superiori pure a quelli americani. Per non parlare dell’Onu, il cui prestigio è ai minimi storici dopo che nel sud del Libano, entrambi i con tendenti hanno sparato addosso alle forze di interposizioni dei caschi blu. Questa l’amara realtà. La speranza è che visto com’è andata in Ucraina, Putin non punti successivamente ad estendere la sua diretta influenza su altri Paesi dell’ex Unione Sovietica. In fondo dipende solo da lui; l’Europa e il mondo occidentale probabilmente stavolta si girerebbero da subito dall’altro lato, facendo finta di non vedere. Vista l’inefficacia di embarghi e diplomazia, urge capire cosa vuole fare l’Europa, alla luce dell’ormai evidente epilogo della guerra in Ucraina. Diventa non più procrastinabile l’esigenza se non proprio di un esercito comune europeo, quantomeno di un coordinamento delle risorse. Oggi, paradossalmente, i Paesi europei spendono in armamenti più della stessa Russia. Alcuni producono armi nelle quali non sono utilizzabili le munizioni prodotte da altri. Vi sono sovrapposizioni negli investimenti bellici e soprattutto manca una politica della difesa comune. Di fatto, abbiamo delegato da decenni la difesa dell’Europa agli Stati Uniti, convinti che i nostri interessi fossero i loro e che quindi ci avrebbero difeso comunque in caso di attacco. Con Trump si configura un brusco risveglio. Della serie: “armatevi e difendetevi!”. Non più gli Usa come i gendarmi del mondo, difensori della cultura e delle democrazie occidentali, ma più attenti a utilizzare risorse all’interno per obiettivi come la riduzione della pressione fiscale. Ma una Europa divisa, fra sovranisti, progressisti, liberaldemocratici, socialisti, è in condizione di produrre una politica militare comune? Difficile, almeno nel breve periodo. È più facile che ci si appelli al “grado di sazietà territoriale” di Putin.