La disumanità non diventi il rincaro di pena per i detenuti

di Daniele Unfer

Parlare di carceri non porta voti. È un mondo che non interessa a molti. Meglio che la luce non passi oltre le sbarre. Non fa parte delle urgenze della politica. Non da oggi, intendiamoci, ma da sempre. Eppure il livello di civiltà di un Paese passa anche attraverso queste realtà. L’emergenza carceri non è più tale. Non si può parlare di emergenza quando una situazione si trascina da anni, se non da decenni. È ormai una situazione consolidata che non fa più notizia. Secondo i dati forniti dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, resi noti nel corso di una recente audizione al Senato, al 31 luglio i detenuti presenti nelle 190 carceri e 17 istituti minorili (Ipm) sono 61.140, con un indice di sovraffollamento a livello nazionale del 130,06%, ma con punte che arrivano al 231,15% di San Vittore a causa dell’inagibilità di diverse aree di detenzione. I posti attualmente disponibili nelle carceri italiane ammontano a 46.982, rispetto alla capienza prevista di 51.269, con un divario di meno 4.262 posti: “da un ulteriore approfondimento si evince che tale criticità è dovuta all’attuale inagibilità di diverse camere di pernottamento e in alcuni casi di intere sezioni detentive”, come per esempio a San Vittore. Sono 150 (pari al 79%) gli istituti con un indice di affollamento superiore al consentito che in 50 Istituti risulta superiore al 150%. Inoltre, a riguardo, l’approfondimento su base regionale mostra una situazione disomogenea, per quanto la quasi totalità delle regioni (17) registrino un indice di affollamento superiore agli standard e solo 3 si collochino al di sotto della soglia regolamentare. Il Garante evidenzia, infatti, un’estrema differenziazione: regioni quali la Puglia (165,37%), Basilicata (150,99%), la Lombardia (151,50%), il Veneto (145,54%), il Lazio (144,05%) mostrano un “preoccupante indice di sovraffollamento, in buona parte determinato dal divario in negativo tra capienza regolamentare e posti regolarmente disponibili, e tale da dover necessariamente orientare in termini logisticamente mirati i preannunciati interventi legislativi in tema di edilizia penitenziaria”. Infatti, non viene considerata praticabile una “teorica, omogenea, distribuzione della popolazione carceraria su tutto il territorio nazionale”, innanzitutto per la “primaria esigenza di salvaguardare la prossimità del collegamento tra detenuto e proprio nucleo familiare di provenienza che impedisce l’automatico trasferimento dei detenuti in regioni come la Sardegna (il cui indice di affollamento si attesta al 93,94%), il Trentino Alto Adige (94,78%), la Valle d’Aosta (81,92%). Infine, altro aspetto segnalato dal Garante riguarda il numero dei detenuti stranieri ristretti all’interno dei penitenziari italiani: attualmente sono 19.151 (pari al 31,33%), di cui 2.787 comunitari e 16.364 extracomunitari. Per quanto riguarda i suicidi la situazione è sempre più drammatica. Le persone detenute che dall’inizio dell’anno al 31 luglio si sono tolte la vita in carcere sono 58, diciotto in più rispetto al periodo corrispondente del 2022 e del 2023. Dei 58 morti suicidi quest’anno, 56 erano uomini e 2 donne; 32 gli italiani e 26 gli stranieri, provenienti da 15 diversi Paesi. Le fasce d’età più ricorrenti sono quelle tra i 26 e i 39 anni (27 persone) e tra i 40 e i 55 anni (14 persone); le restanti si distribuiscono nelle classi 18-25 anni (7 persone), 56-69 anni (9 perso- ne) e ultrasettantenni (una). L’età media delle persone che si sono tolte la vita in carcere è di circa 40 anni. Con riferimento alla loro posizione giuridica, 23 dei suicidi erano stati giudicati in via definitiva e condannati (39,66%), mentre 7 avevano una posizione cosiddetta “mista con definitivo”, cioè avevano almeno una condanna definitiva e altri procedimenti penali in corso; 23 (39,66%) erano in attesa di primo giudizio, 2 ricorrenti, 2 appellanti e un internato provvisorio. La maggior parte delle persone che si è tolta la vita in carcere era accusata o era stata condannata per reati contro la persona (31, pari al 53,45%): 13 per omicidio (tentato o consumato), 8 per maltrattamenti in famiglia e 4 per violenza sessuale. A seguire i reati contro il patrimonio (18) e di droga. Quanto alla durata della permanenza presso il carcere nel quale è avvenuto l’evento, risulta che 30 persone, pari al 51,8%, si sono suicidate nei primi sei mesi di detenzione; di queste 7 entro i primi 15 giorni, 3 addirittura entro i primi 5 dall’ingresso. Gli istituti in cui si sono verificati i suicidi sono 40, pari al 21% del totale delle strutture penitenziarie. Quanto invece ai decessi “per cause da accertare” avvenuti sempre all’interno delle carceri, dall’inizio dell’anno al 31 luglio sono stati 14, tutti di uomini: 9 gli italiani e 5 gli stranieri. Le fasce d’età più presenti sono quelle tra i 26 e i 39 anni (6 persone) e tra i 40 e i 55 anni (5). In questa cornice parlare di indulto diventa una necessità, non solo di buon senso, ma di umanità. Lo ha fatto nelle settimane scorse il Psi con il Segretario Enzo Maraio, che ha sottolineato come la situazione nelle carceri “è disperata da trent’anni”. “I provvedimenti del Governo Meloni – ha aggiunto – non risolvono questi problemi e più di sessantamila persone sono lasciate in condizioni disumane. Servono subito iniziative per rendere le condizioni più civili e più umane. Come già immaginato qualche anno fa dal governo Prodi, pensiamo ad un indulto per i reati minori, quelli dove non c’è violenza contro la persona e per chi deve scontare ancora pochi anni”.

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