Il Medio Oriente è una polveriera, l’Europa alla finestra

di Giada Fazzalari

Le comunità politiche hanno il diritto all’esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: “Abbandonata la giustizia, a che si riducono gli Stati, se non a grandi latrocini?. I contrasti vanno superati e le controversie risolte, non con la forza, la frode o l’inganno, ma, come si addice agli esseri umani, con la reciproca comprensione, attraverso valutazioni serenamente obiettive e l’equa composizione”. Queste parole di Giovanni XXIII (Pacem in terris) dovrebbero essere la bussola che guida la comunità internazionale nella polveriera mediorientale in cui, invece, paiono muoversi solo capipopolo pronti a barattare decine di migliaia di vite con la perpetuazione del loro ruolo. In questo folle risiko, l’Occidente accarezza la tentazione di chiamarsi fuori (per l’Italia, pare più di una tentazione, con l’abbandono del fondamentale ruolo equilibratore che i nostri soldati giocano in Libano da quarant’anni). La Russia insegue i fantasmi della politica di potenza sovietica. E Netanyahu ringrazia ogni giorno Hezbollah, Hamas e l’Iran – cioè soprattutto quest’ultimo – che sono la sua assicurazione sulla vita (politica). Perché purtroppo, nel progressivo disinteresse dell’Occidente, la cinica partita sulla pelle degli ultimi coinvolge regimi totalitari programmaticamente indifferenti al rispetto dei diritti umani, come l’Iran, la Siria, Gaza; spregiudicate democrature come la Turchia e come l’aspirante burattinaia putiniana; Paesi ridotti a patchwork da bande mercenarie e signori della guerra, come il Libano; monarchie autoritarie del golfo ambigue, legate agli USA e agli accordi di Abramo ma in concreto finanziatrici di estremisti e fondamentalisti islamici in mezzo mondo, East Med in testa. E infine una democrazia (fino a quando?) che, però, stretta tra la sindrome dell’assedio e la crudele indifferenza del suo leader, rischia di essere il più feroce tra i soggetti in questo teatro dell’orrore: Israele. Oggi più che mai il popolo d’Israele deve mostrare di essere veramente il popolo eletto, perché nelle sue mani tiene il destino della pace in medio oriente e, forse, del mondo. Proprio perché è l’unica democrazia (si spera a lungo) in cui il popolo è veramente sovrano, agli israeliani la comunità internazionale, soprattutto l’opinione pubblica mondiale, deve chiedere di fare quel passo che metta allo scoperto le reciproche ipocrisie di leadership che solo nella guerra permanente trovano legittimazione. È una guerra ideologica, religiosa, assurda, in cui l’assenza di una vera ragione, se mai la guerra possa averne, deve, va sottolineato: deve, trovare la sua fine nella forza di un popolo come quello ebraico, di radice europea, di tradizione democratica, di indole tollerante come solo può essere chi ha molto sofferto. Voci che si alzano tonanti, in questo senso, contro la politica del governo Netanyahu per fortuna non mancano. Dentro e fuori il Paese. Non sono solo le voci dei familiari dei rapiti, ma più in generale di chi ha ben intenso quale sia la posta in gioco. Una posta molto alta, che racchiude l’esistenza stessa dello Stato di Israele. Voci che chiedono di non minimizzare le sanzioni internazionali che colpiscono Israele, ma di vederle invece come moniti per una riflessione vera sulla deriva della politica del governo. Voci che chiedono di fermare l’attività criminale dei coloni, specie in Cisgiordania, che sotto il manto protettivo del governo compiono quotidianamente efferatezze nei confronti dei palestinesi. Voci che richiamano al pericolo di isolamento internazionale che sta vivendo Israele. Al grido di “ribelliamoci ora o non ci sarà più nulla a cui ribellarci in futuro”, una fetta di Paese si mobilita. E soprattutto non tace. Assieme a chi vive oltre i confini di Israele e che vede nell’esistenza dello Stato ebraico la realizzazione della sua missione nel mondo, che non può macchiare quella missione di tanto sangue innocente, come sta avvenendo invece da un anno a questa parte. Quella mattanza si è trasformata nell’alibi di politica internazionale della gran parte dei grassatori privi di scrupoli che occupano il potere o aspirano ad occuparlo. Non si può voler trasformare il sacrosanto diritto di difendersi in una insensata battaglia aggressiva contro i civili di un popolo che non ha uno Stato. Si dovrebbe ascoltare con più attenzione anche in Occidente il grido del popolo ebraico. I governi europei dovrebbero farlo proprio. A cominciare da chi, come Meloni, ha ruoli di responsabilità internazionali, come essere presidente di turno del G7.

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