di Daniele Unfer
È accanimento contro il lavoro. Dopo lo scontro sul salario minimo concluso con un nulla di fatto e con l’approvazione di una delega che toglie la materia al Parlamento per affidarla al Governo, con la conseguenza di affossarla del tutto come da volontà dell’Esecutivo, è stato sferrato un nuovo colpo al mondo del lavoro con l’approvazione di un ordine del giorno proposto della Lega, che ha contribuito ad agitare ancora di più le acque. Il provvedimento, firmato da Andrea Giaccone, propone di introdurre una quota variabile di stipendio pubblico, in particolare per quello degli insegnanti, che va calcolata in base al “luogo di attività”. In pratica, la proposta è quella di differenziare le retribuzioni in base al costo della vita e al potere d’acquisto della regione in cui si lavora. Così facendo si creerebbe un divario tra stipendi di Nord e Sud. Una vecchia battaglia della Lega che torna a galla. Anni fa la ripropose anche il fondatore Umberto Bossi, come soluzione per alleggerire il bilancio pubblico naturalmente a svantaggio del Mezzogiorno. Insomma, un salto nel passato. Si torna alle gabbie salariali degli anni ‘70. Nell’ordine del giorno si legge che il tema del costo della vita e delle retribuzioni adeguate è principalmente sentito nel settore del pubblico impiego e sarebbe auspicabile per alcuni settori, come ad esempio nel mondo della scuola, un’evoluzione della contrattazione che da una retribuzione uguale per tutti passasse a garantire un pari potere d’acquisto per tutti, ipotizzando una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività. Insomma non solo si boccia il salario minimo ma si cerca di comprimere anche i salari pubblici con divario tra le parole annunciate dal Governo e gli atti messi in pratica sempre più evidente. Il provvedimento ovviamente è stato approvato generando sorpresa e preoccupazione tra gli altri partiti. Il Governo, rappresentato dal sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon, ha espresso ovviamente parere favorevole. Va detto che gli ordini del giorno hanno valore indicativo e non sono vincolanti per l’Esecutivo, ma danno l’idea dell’orientamento della maggioranza che lo sostiene su certe materie e se si tratta di argomenti dirimenti, come quello del lavoro, l’attenzione e la preoccupazione che destano è ovviamente maggiore. In sintesi la proposta prevede una “quota variabile” di stipendio per i dipendenti pubblici, in particolare nel settore dell’istruzione, basata sul luogo di attività. L’obiettivo dichiarato è quello di considerare il diverso potere d’acquisto nelle varie regioni d’Italia. Un metro che solleva preoccupazioni per possibili discriminazioni territoriali. Già lo scorso gennaio il ministro dell’Istruzione Valditara, aveva presentato una proposta simile, richiedendo una maggiore equità negli stipendi a seconda delle spese sostenute quotidianamente dai lavoratori. Non appena si sono sollevate le polemiche, il ministro ha fatto dietro-front e non si è più parlato dell’argomento. Fino ad ora. Insomma la strada imboccata è esattamente l’opposta di quella necessaria. Invece di aumentare gli stipendi, trovando le giuste risorse per il rinnovo dei contratti, si pensa a come abbassarli. Un tale provvedimento, insieme a quello dall’autonomia differenziata, non fa altro che aumentare le divisioni interne al Paese e con le gabbie salariali punta a dividere anche i lavoratori tra loro.