Il giovane socialista che voleva vivere nel “mito”

di Luca Mariani

“Ho il covid, ma magari fosse solo quello. Sono ricoverato al San Raffaele e non riescono ancora ad operarmi”. Le festività a cavallo tra il 2023 e il 2024 hanno lasciato l’amaro in bocca a chiunque abbia scambiato gli auguri con Ugo Intini. Un galantuomo profondamente socialista, portavoce del partito, braccio destro di Craxi, deputato ligure, sottosegretario e viceministro agli Esteri nei Governi Amato II e Prodi II, scrittore e soprattutto direttore dell’Avanti!. Lui stesso descriveva così l’assunzione nel giornale della sua vita: “Per un giovane socialista milanese l’Avanti! era il Mito. Nell’estate 1960 quanto terminai il liceo due cose mi sembrava naturale fare. La prima: seguire l’immenso corteo contro il Governo Tambroni appoggiato dai neofascisti. La seconda: salire le scale del palazzo di piazza Cavour (il famoso Palazzo dei Giornali, costruito da Mussolini per ospitare il ‘Popolo d’Italia’) allo scopo di raggiungere il Mito”. “L’Avanti! stava al terzo piano, sopra ‘l’Unità’. A guardia del corridoio e del Mito, vegliava, dietro una vetrata scorrevole, il portiere e centralinista: Felice De Marinis, un mito all’interno del Mito. Si diceva infatti che fosse coevo e compenetrato con il palazzo, sin dalla sua costruzione. Che fosse già centralinista al ‘Popolo d’Italia’, organo del Partito Nazionale Fascista, nonché assistente e barbiere personale del direttore Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. Si diceva che i partigiani socialisti lo avessero trovato lì il 25 aprile, impassibile e inamovibile, dall’alto della sua coscienza pulita, e che lì lo avessero lasciato, cooptandolo senza soluzione di continuità quale centralinista dell’Avanti! il giorno stesso in cui il quotidiano socialista uscì con lo storico titolo: ‘L’Italia è libera’. Don Felice – proseguiva Intini – così chiamato per l’origine meridionale e la riconosciuta autorità, decideva con la sua voce resa cavernosa dal sigaro ‘se, chi e quando’ aveva accesso a ‘chi’. Dava del tu a chiunque e aveva mandato al diavolo, dall’altro lato della cornetta, chiunque: Nenni e Pertini compresi. Io avevo 19 anni e non conoscevo la sua fama. ‘Sono socialista, ho fatto politica al liceo e vorrei diventare giornalista’ – mi presentai. Don Felice mi squadrò, mi soppesò e di fatto mi assunse. Fu lui infatti che mi portò quasi per mano prima ad Antonio Natali, che Guido Mazzali aveva posto accanto a sé quale collaboratore per la pubblicità e l’amministrazione, poi da Attilio Pandini, che dirigeva la terza pagina e che d’estate si trovava sempre in drammatica lotta con la sparizione simultanea, per vacanze, di tutti i suoi redattori e collaboratori. Poiché per me vivere nel Palazzo del Mito era molto più che una vacanza, quell’estate mi piazzai lì e non me andai più”. Intini si guadagnò l’assunzione e la stima degli autonomisti di Craxi, correggendo le bozze. “La scissione del Psiup non era ancora avvenuta – raccontava Intini – e i filosovietici continuavano a scrivere sull’Avanti! Uno di loro era il critico musicale Luigi Pestalozza, che già era famoso e lo sarebbe diventato ancora di più dopo il suo passaggio al Psiup prima e al Pci poi. Grande intellettuale e professore, aveva lasciato una serie di articoli sulla musica sinfonica nei Paesi dell’est. Erano sofisticati e perfetti. Io però correggevo diligentemente un piccolo errore. Lui scriveva, a proposito di Germania orientale o Polonia, Paese ‘socialista’. Io cancellavo e scrivevo ‘comunista’. Nessuno se ne accorse ma lui, un giorno, piombò nella stanza paonazzo e fece una scenata contro la ‘censura ideologica’, accusando la direzione. ‘Ma no’ spuntai candidamente ‘sono stato io, perché quelli sono Paesi comunisti, mica socialisti’. Ero il bambino della favola che finalmente diceva: ‘Il Re è nudo’. Da allora trovai persino una scrivania fissa”. Dalla tolda di comando dell’Avanti! Ugo Intini salvò la vita del magistrato Giovanni D’Urso, rapito dalle Br, che chiedevano per la sua liberazione la pubblicazione dei loro comunicati. L’Avanti! ruppe per primo il muro del silenzio e il 10 gennaio 1981 Intini stesso scrisse il fondo ‘La carta non vale la vita umana’. Il giorno dopo anche ‘Il Messaggero’ e ‘Il Secolo XIX’ finalmente pubblicarono. Nella notte fra il 13 e 14 gennaio D’Urso fu rilasciato in centro a Roma nel bagagliaio di una utilitaria simile (non per caso) a quella dove fu trovato Moro: ma vivo. Ovviamente si rischiò la crisi del Governo Forlani, che Pci e Pri accusarono di insufficiente fermezza. Forlani restò in sella e di lì a poco Craxi si dimise da direttore politico del quotidiano socialista per cedere il posto a Ugo Intini. Prima di morire, Intini ha voluto rendere omaggio con due opere, fortissimamente volute, alle colonne portanti della sua vita: nel 2012 scrisse ‘Avanti! Un giornale un’epoca’, l’intera storia del quotidiano in 750 pagine; nel 2022 ‘Testimoni di un secolo’ con illuminanti descrizioni dei protagonisti e dei comprimari che hanno dato vita al Psi e non solo.

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