Intervista a Vittorio Di Trapani: «Libertà di stampa a rischio. L’Italia sempre più lontana dall’Europa»

Intervista di Giada Fazzalari

L’emendamento che prevedeva la reintroduzione del carcere per i giornalisti è stato ritirato, ma rimangono altri nodi da sciogliere di cui il governo fatica ad occuparsi: il ddl diffamazione, l’equo compenso per i giornalisti, la tutela delle fonti. In compenso, però, l’idea che questo esecutivo ha della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione è chiara: occupazione del servizio pubblico, il tentativo di fare revisionismo storico, un conflitto di interessi che potrebbe creare un precedente sul caso Agi e non solo.“ Più che a un’idea di servizio pubblico, hanno in mente più un servizio di governo, come fosse l’EIAR”- dice Vittorio di Trapani, presidente della FNSI, Federazione nazionale della Stampa italiana dal 2023, in questa intervista all’Avanti della domenica.

Ha fatto molto discutere la delibera della vigilanza Rai che elimina dall’obbligo di minutaggio nei talk per i membri del governo. E’ stato detto: “c’è il rischio che la Rai diventi megafono del governo”…

«Siamo di fronte a un governo che più che a un’idea di servizio pubblico pensa a un servizio di governo. Forse hanno in più in mente l’EIAR della Rai, cioè di monopolio e non di pluralismo dell’informazione. Il tentativo di prendere ulteriori spazi per la propaganda di governo è la perfetta rappresentazione di quale idea hanno di libertà di stampa e libertà di informazione»

 L’opposizione ha urlato allo scandalo. Ma non pensi che ci sia ciclicamente questo atteggiamento un po’ strumentale da parte delle forze politiche di destra e di sinistra e cioè gridare allo scandalo quando si fanno scelte editoriali che non rispondono alle proprie esigenze politiche? 

«E’ così. E  quasi tutti i partiti, quando sono andati al governo, hanno occupato la RAI. Servirebbe una sorta di patto: quello che si dichiara sulla Rai quando si è l’opposizione è obbligatorio farlo diventare programma di governo quando si torna a vincere le elezioni. Bisogna smetterla con questa ipocrisia che si parla della libertà della Rai soltanto quando si è fuori dalla stanza dei bottoni di viale Mazzini. Però, attenzione: non va commesso l’errore di dire che tutto è uguale, perché c’è una grandissima differenza tra quello che è successo nel passato e quello che stiamo vivendo oggi»

A cosa ti riferisci?

«In passato la Rai è stata occupata da governi di qualsiasi colore politico, il sindacato dei giornalisti ha sempre contestato, e laddove necessario, anche portato in tribunale alcune decisioni che erano state prese. Ma oggi sta accadendo una cosa diversa. L’occupazione della RAI è parte di un progetto chiaro di revisionismo politico, culturale, storico e sociale. E’ un’operazione molto più profonda rispetto alla semplice occupazione con finalità di consenso»

C’è un tentativo di  revisionismo storico e culturale?

«Si sta provando a raccontare la storia d’Italia, quindi anche le basi valoriali dell’Italia, in maniera diversa. Non ci possiamo dimenticare alcuni episodi che poi hanno provato a derubricare come gaffes. Il presidente del Senato che parla di via Rasella come una banda musicale tedesca oppure di chi ha provato ancora una volta ad accreditare alcuni fatti sulle stragi neofasciste italiane richiamandosi a teorie che sono state smentite dalle sentenze in tribunale.  O, peggio, di chi ha difficoltà a dichiararsi antifascista. La nostra Costituzione affonda le sue radici e trae la propria linfa dalla lotta partigiana e quindi dalla Resistenza: se l’obiettivo è quello di cambiare la Costituzione, è chiaro il tentativo di recidere queste radici»

Quello che dici ha molto a che fare con l’informazione libera come garanzia di democrazia nei paesi civili. Secondo te nel nostro Paese c’è un vero pericolo democratico? Hai detto recentemente che “in Italia è in corso un attacco non soltanto alla libertà di stampa ma a diversi diritti costituzionali. Ci allontaniamo dall’Europa e ci avviciniamo all’Ungheria”…

«L’insofferenza nei confronti della libertà di stampa e dell’articolo 21 della Costituzione è chiara, come sono chiari gli attacchi nei confronti di altri diritti. Siamo in un’epoca nella quale degli studenti liceali che protestano e rivendicano il loro legittimo diritto di protesta e di critica, vengono  manganellati; così come uno spettatore che dentro un teatro decide di urlare “viva l’Italia antifascista”, viene identificato. Cosa sono questi se non segnali di insofferenza nei confronti di tutti i diritti e di tutte le libertà?»

E poi c’è la parte normativa. I provvedimenti in discussione in Parlamento, quelli approvati o quelli che non vengono portati in discussione…

«Sì, ad esempio l’emendamento Costa che impedisce la pubblicazione, a stralci o integrale, delle ordinanze cautelari. Si dice: ‘Ce lo chiede l’Europa con la direttiva della presunzione innocenza’. Falso. Quella direttiva non chiede nessuna limitazione alla pubblicazione da parte dei giornalisti di atti giudiziari»

Si dirà che è una questione di garantismo…

«Sgombriamo il campo da un equivoco: i garantisti non sono contro la piena trasparenza degli atti giudiziari. I garantisti sono al contrario per la piena trasparenza perché il “controllo” da parte della stampa anche su ciò che fa la magistratura è un controllo democratico, anche a tutela degli imputati e degli indagati»

Qualche volta c’è stato anche qualche abuso, nel rapporto tra giustizia e informazione. Che ne  pensi?

«Se ci sono abusi, si sanzionano, o in sede deontologica o nelle sedi opportune. Ma c’è un principio inderogabile che è sancito in più di una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo: un giornalista che è in possesso di una notizia di rilevanza pubblica, ha il diritto e il dovere di pubblicarla. Siamo, per fortuna, nell’Europa del “Media Freedom Act”, un regolamento che dà forza alla libertà di stampa e alla sicurezza dei giornalisti. Chiariamolo ancora una volta, non si tratta di proteggere una casta ma di dare garanzie per i cittadini del diritto ad essere pienamente  informati»

E poi c’è il ddl diffamazione…

«Nel Ddl diffamazione si cancella il carcere per i giornalisti, ma non per gentile concessione, perché lo hanno chiesto la Corte Costituzionale e la Cedu. Al contempo però si aumentano le sanzioni per i giornalisti eventualmente condannati, fino a cinquantamila euro, una cifra spropositata che ha un effetto di deterrenza fortissimo. Se quel Ddl dovesse essere approvato così com’è, resterebbe un provvedimento pessimo e liberticida»

Parliamo del caso di un senatore di FdI sull’emendamento che reintroduceva il carcere per i giornalisti…

«Nient’altro che una manfrina. Intanto perché non si può reintrodurre un qualcosa che la Corte Costituzionale ha già bocciato,. Mi è sembrato piuttosto il vecchio trucco di mettere uno specchietto per le allodole dentro il provvedimento: un elemento che ha lo scopo di deviare la discussione con la finalità di distrarre dal provvedimento principale. Noi invece non ci facciamo distrarre, ora si torna a discutere del ddl diffamazione: abbiamo presentato alle forze politiche proposte di emendamento»

L’altro fatto è molto grave che sta accadendo in queste settimane riguarda l’Agi e il conflitto di interessi di cui si è discusso.

«Per la seconda agenzia di stampa italiana siamo di fronte a un inedito. L’Agi è controllata dall’Eni, il cui azionista di riferimento è il Mef e, nei fatti, il ministro azionista sta consentendo la vendita di un pezzo dello Stato ad un parlamentare, che di mestiere fa anche l’editore, del suo stesso gruppo parlamentare. È un salto di qualità nell’idea del conflitto di interessi. Giustamente i giornalisti e le giornaliste dell’Agi stanno protestando e hanno già fatto svariati giorni di sciopero. Dobbiamo tutti sostenere la loro lotta che non riguarda solo l’Agi, ma tutti noi. Se passa, diventa un precedente dal quale è difficilissimo tornare indietro»

A proposito di Europa, ci sono delle cose che si chiedono all’Italia. Quali?

«Sulla tutela delle fonti non c’è oggi in Italia nessun provvedimento in tal senso, anzi vediamo attacchi quasi quotidiani alle fonti dei giornalisti. L’Europa ci chiede una normativa contro le querele bavaglio, ma nulla è stato fatto. Del resto in Italia sta crescendo in maniera preoccupante il numero delle querele bavaglio, anche da parte di esponenti di governo.  E sono ormai una sorta di intimidazione permanente. Inoltre l’Europa chiede l’equo compenso per i giornalisti»

Un’utopia, in Italia.

«L’equo compenso è un pezzo fondamentale della libertà, perché ha a che fare con la dignità del lavoro. Un giornalista che viene mal retribuito, rischia di essere ricattabile. Voglio usare le parole di Sandro Pertini: “Gli uomini, per essere liberi, è necessario prima di tutto che siano liberati dall’incubo del bisogno”»

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