Intervista di Giada Fazzalari
In che modo la lista Stati Uniti d’Europa si presenta come una novità nel panorama politico italiano?
«L’intuizione di Emma Bonino di chiamare a raccolta tutti i partiti e i movimenti che fanno del riformismo e del federalismo europeo il loro tratto distintivo, mettendo da parte le divisioni per concentrarsi su un unico obiettivo, è già di per sé una novità: siamo uniti dalla prospettiva comune di portare in Ue eurodeputati che lavoreranno per rendere l’Unione una reale federazione tra Stati, e non un insieme di piccole nazioni spesso in contrapposizione tra loro e bloccate dai veti. Al centro del nostro simbolo non c’è il nome del leader ma c’è il nostro obiettivo politico».
Ma l’Unione europea è spesso evocata come “la fabbrica delle regole”, dove tutto viene normato, tanto che i sovranisti sfruttano questo presupposto per chiedere maggiore libertà per gli Stati. Le regole sono davvero lacci o piuttosto opportunità?
«I sovranisti si lamentano della “loro” Europa, dell’Europa che c’è oggi, con le regole che loro non hanno mai voluto cambiare, opponendosi a ogni tentativo di riforma in senso federativo dell’Ue. Si pensi solo che il parlamento europeo, l’organo più rappresentativo perché votato direttamente dai cittadini, non ha potere di iniziativa legislativa. Meloni vuole conservare questa Europa immobile e stanca. Noi vogliamo cambiarla in meglio».
Nell’Europa dei doveri trova spazio un’Europa dei diritti?
«L’Europa è già avanguardia nella tutela dei diritti: non è un caso che tutti i Paesi che si sentono minacciati da Putin vogliono entrare in Ue. E noi dobbiamo non solo favorire la protezione dei diritti già acquisiti, ma dobbiamo promuoverne di nuovi. Penso ad esempio al Certificato Unico di Filiazione Europeo, affinché tutte le bambine e tutti i bambini nati in uno Stato Ue siano automaticamente riconosciuti in qualsiasi altro Stato membro come figli dei propri genitori, indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori, dalle modalità di concepimento e nascita. Non è più tollerabile che i diritti fondamentali dei minori siano limitati a causa dell’inerzia legislativa di alcuni Paesi. Oppure all’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei Diritti».
E sul piano della giustizia penale?
«È necessaria la definizione di una coerente e organica strategia euro-unitaria per combattere il grave fenomeno del sovraffollamento carcerario, autentica negazione del finalismo rieducativo della pena e della dignità del detenuto. Questa è la vera sfida tra il mondo chiuso che vogliono i Trump e i Putin, ed il mondo aperto, inclusivo rivolto al futuro e non al passato».
Ma Salvini vuole meno Europa… qual è l’osservazione del segretario di un partito che si chiama Più Europa?
«Salvini prima diceva più nord e meno Italia, ora dice più Italia e meno Europa: di questo passo, al prossimo nostro congresso si candiderà a segretario di +Europa (sorride…). Battute a parte: quando Salvini dice meno Europa, non sta dicendo “più Italia”, ma più Cina, più Russia, più India, più delocalizzazioni, meno lavoro, più aziende che chiudono o che passano in mani straniere. Se l’Europa invece si dotasse di una politica industriale e fiscale comune, come auspichiamo noi che vogliamo gli Stati Uniti d’Europa, finalmente si porrebbe sullo stesso piano delle altre grandi economie più competitive e farebbe valere le sue ragioni. Cosa che adesso non possiamo fare perché ogni Paese ha una sua strategia industriale, che inevitabilmente entra in conflitto con quella del Paese membro più vicino».
In una lista dove il riformismo e l’europeismo sono i denominatori che fanno da collante tra le forze politiche che la compongono, quali sono i valori che uniscono i partiti che compongono la lista?
«Federalismo europeo, riformismo, convinzione che senza gli Stati Uniti d’Europa non c’è futuro».
L’Unione che uscirà dalle urne il 9 giugno sarà con tutta probabilità assai diversa da quella attuale. È a rischio lo spirito di Ventotene?
«Se dovessero prevalere le forze che spingono per la conservazione dell’attuale status quo, non è a rischio solo lo spirito di Ventotene, è a rischio l’esistenza stessa dell’Europa e delle sue istituzioni».
Nonostante ci sia la guerra alle porte di casa, l’Europa sembra aver mantenuto una linea piuttosto silente, specie nel tentativo di porre rimedio alle tensioni attraverso la via diplomatica. È segno della necessità di un cambio di passo e di una politica estera dell’Unione davvero unica?
«Nel caso della guerra in Ucraina, il ricorso alla via diplomatica non è stata possibile perché Putin voleva invadere l’Ucraina e annettere al suo territorio un Paese indipendente e libero. Il sostegno politico e militare a Kiev da parte dell’Ue non è mai venuto meno. È indubbio che è arrivato il momento di un salto di qualità: la politica estera dell’Unione europea oggi è decisa all’unanimità, con la conseguenza che un solo Stato membro può mettere a rischio la sicurezza e il futuro dei cittadini europei. È necessario quindi che anche in politica estera l’Europa cominci davvero a parlare con un’unica voce, e che si pongano le basi per un’Europa della Difesa, anche attraverso la creazione di un vero e proprio esercito europeo che superi la frammentazione delle risorse e degli investimenti degli Stati membri oggi dispersi in 27 eserciti nazionali».
Alle Europee le tre forze di maggioranza giocheranno tutti contro tutti. Lega e Fdi fanno a gara a chi è più a destra, mentre tra Salvini e Forza Italia sarà una battaglia all’ultimo voto. Cambieranno, a suo avviso, gli equilibri nel governo dopo questa prova elettorale?
«Tutto starà ai risultati elettorali. Che però la Lega di Salvini si stia agitando per recuperare un po’ di consenso è sotto gli occhi di tutti, così come è evidente il nervosismo di Giorgia Meloni. In ballo però c’è molto di più, anche al di fuori dei confini nazionali. Con queste elezioni europee saremo chiamati a scegliere tra l’Europa dei nazionalismi e delle piccole patrie, incapace di giocare da protagonista tra le potenze mondiali, da un lato, e la Patria Europa, finalmente davvero federale, che sia avanguardia dei diritti e del progresso nel mondo. Il risultato della lista Stati Uniti d’Europa può essere determinante negli equilibri del Parlamento Europeo».
Questa campagna elettorale, a sentire i leader di tutte le altre liste, sembra più una campagna per le politiche italiane che non per le europee. I cognomi nei simboli ed eccessiva personalizzazione con candidature fasulle. Con il punto più alto di tale imbroglio nella premier, che chiede di scrivere il suo nome nella scheda per sancire l’approvazione del suo operato.
«Io penso che chi si candida a queste elezioni europee, senza poi andare davvero a Strasburgo, non solo umilia la politica italiana e prende in giro gli elettori, ma danneggia le stesse istituzioni europee. Non può esserci il voto a sorpresa: voto Schlein o Meloni ma poi viene eletto un altro. Ma davvero pensano di recuperare così la fiducia degli elettori? Stati Uniti d’Europa, sul simbolo, ha un progetto elettorale e non un nome. E tutti i nostri candidati, una volta eletti, andranno a Strasburgo».