Intervista a Giuseppe Provenzano:«Il nazionalismo è una minaccia per l’Ue, ora serve l’alternativa»

Intervista a Giada Fazzalari

Il Pse ha scelto Roma per celebrare il Congresso con cui, di fatto, si apre la campagna elettorale dei socialisti in tutta Europa. Della famiglia europea del Pse fanno parte, in Italia, il Psi e il Pd. La scelta non è casuale: come osserva Peppe Provenzano, Responsabile esteri Pd, l’Italia è il più importante paese d’Europa guidato dalla destra estrema. “Le europee rappresentano un momento esistenziale” – dice. E bisogna battersi per far prevalere la nostra idea di Europa democratica e socialista.

Centro giorni circa alle europee di giugno, un appuntamento decisivo per il futuro dell’Ue.

«Le elezioni europee cadono in un 2024 che è stato definito dal Time “The ultimate election year”, in cui saranno chiamati al voto oltre quattro miliardi di persone e che potrà ridefinire la “geografia democratica” del mondo. Per l’Europa queste elezioni rappresentano un momento esistenziale. Oggi, l’ascesa dell’estrema destra, il ritorno del nazionalismo, le spinte autoritarie che attraversano anche le nostre società, rappresentano una minaccia ai principi fondamentali della nostra casa comune: solidarietà, democrazia, pace. E non basterà urlare al rischio di un vago anti europeismo. Se vogliamo proseguire nel cammino comune, dobbiamo offrire un’alternativa chiara ai cittadini».

Potrebbe cambiare il volto dell’Europa?

«Ci sono due idee di Europa. Quella delle destre, degli egoismi nazionali e delle divisioni, fatta di muri e nessuna solidarietà, come quando gli amici di Meloni e Salvini non votavano il Next Generation EU. E c’è invece la nostra idea, democratica e socialista, un’Europa che per dare risposte concrete per migliorare la vita dei lavoratori, dei cittadini, dei giovani, deve ritrovare un’ambizione che, negli ultimi mesi (penso al Patto di stabilità o a quello sui migranti), sta smarrendo».

Qual è il significato politico di queste elezioni, per l’Italia?

«L’Italia è il cuore della sfida tra noi e la destra: dopo la caduta del governo di Diritto e Giustizia in Polonia e la vittoria di Pedro Sanchez in Spagna il nostro Paese, purtroppo, è il più importante stato europeo guidato da un governo di destra estrema. Perché Giorgia Meloni, malgrado le aperture di credito di cui ha goduto nell’establishment e gli auspici di una sua normalizzazione, è questo: l’alfiere principale della destra nazionalista europea. Per questo motivo una affermazione delle forze progressiste in Italia sarà importante anche per tutta l’Europa. Questa destra non è maggioranza nel Paese. Lo si è visto da ultimo in Sardegna. Si può e si deve battere. E farlo alle elezioni europee ha un valore che va oltre i nostri confini».

Meloni amica di Orbàn, Salvini con l’Afd tedesca e con Le Pen in Francia. Quanto peseranno in Europa le scelte dei due principali leader di maggioranza?

«Salvini viene trattato come uno che parla parla ma che non conta nulla. Non è così. Il suo filo-putinismo mina la credibilità del nostro Paese. Ma guardiamo alla Presidente del Consiglio. Meloni vuole accreditarsi come una statista internazionale ma, alla fine, i suoi interlocutori sono Orbàn, i neofranchisti di Vox che volevano appendere Pedro Sanchez per i piedi e addirittura, è notizia di questi giorni, gli impresentabili francesi di Zemmour, un uomo talmente estremista da essere stato emarginato addirittura da Marine Le Pen. Ecco, loro portano in Italia questi personaggi, noi portiamo Pedro Sanchez, Olaf Scholz e Nicolas Schmit, che ha lavorato tantissimo sui temi del lavoro e per la costruzione di un vero pilastro sociale europeo».

Due guerre così violente – Ucraina e Medio Oriente – e però la voce dell’Europa non si è proprio sentita. Perché?

«L’Europa deve stare dalla parte dell’Ucraina. Perché sta dalla parte della libertà e del diritto internazionale. Ma se questo deve valere a Kiev, deve valere anche in Palestina. È inaccettabile che in Ucraina e Medio Oriente i grandi mediatori siano la Turchia da una parte e il Qatar dall’altro, mentre l’Europa va in ordine sparso e si mostra come un nano politico sul piano diplomatico. È in questi scenari di crisi che si gioca il nostro ruolo nel mondo. Nelle ultime settimane, l’alto rappresentante Borrell ha detto molte cose giuste sul Medio Oriente, presentando un piano di pace ragionevole che credo tutte le forze socialiste e democratiche devono sostenere».

Ma sulla strage a Gaza non c’è stata una voce ferma e unanime da parte del governo italiano. Anche l’opposizione si è poco fatta sentire…

«Per la verità, il Partito Democratico non ha taciuto un solo giorno, siamo stati in missione con il Pse in Terra Santa e abbiamo presentato una mozione, unitaria ma molto chiara, per chiedere il cessate il fuoco, il riconoscimento dello stato di Palestina, una missione di pace a Gaza. E abbiamo segnato anche un punto politico importante, perché sul cessate il fuoco abbiamo ottenuto il voto delle altre opposizioni e l’astensione della maggioranza: un cambio di passo per il nostro Paese anche se, purtroppo, il Governo non è stato conseguente e la Presidente del Consiglio è del tutto afona su Gaza, forse per non infastidire troppo il loro amico Netanyahu e il suo governo di destra estrema».

Qual è il messaggio che scaturirà dal Congresso PSE?

«L’avvio della battaglia per l’Europa non così com’è, ma per l’Europa che vogliamo: sociale, sostenibile, democratica».

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