Intervista a Nicola Fratoianni: «Difesa unica ed una nuova politica estera, le basi per il futuro dell’Europa»

Intervista di Giada Fazzalari

Senza un’iniziativa politica che restituisca una funzione strategica nello scenario globale all’Europa, il futuro stesso dell’Europa è a rischio, specialmente in un periodo come questo, tormentato da conflitti sanguinosi. Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, dal palco della Convenzione nazionale del Psi e in questa intervista all’Avanti! della domenica, indica le parole chiave – pace, conversione ecologica, giustizia sociale – attorno alle quali costruire un’alternativa di sinistra, che non guardi solo alla tappa del 9 giugno, ma a un progetto politico più largo.

Segretario, non si arresta il sanguinoso conflitto in Medio Oriente. Chi non vuole la pace?

«Non la vuole Hamas e non la vuole neppure Netanyahu, che continua a rifiutare esplicitamente l’unica possibilità per costruire una pace duratura: quella di aprire il negoziato e arrivare alla sola soluzione possibile che è quella dei due Stati per due popoli. Tutto questo nel quadro di una guerra che dopo oltre cento giorni ha fatto di Gaza quanto di più simile ci sia all’inferno. Trenta mila morti, di questi tantissimi sono bambini e persone vulnerabili, in un luogo in cui si muore perché si è palestinesi senza altra colpa, dove non c’è scampo, e dove ogni giorno o si muore sotto i colpi dell’esercito israeliano o di fame, di sete e senza cure. Di fronte a questo crimine di guerra reiterato è necessaria una iniziativa della comunità internazionale in grado di porre fine a questo massacro, per ricostruire le condizioni di un dialogo e di una pace duratura.»

Come mai a suo avviso molti tendono a identificare come sostenitori di Hamas coloro che difendono il diritto di un popolo alla libertà?

«Non è la prima volta che accade, è già accaduto con la vicenda Ucraina. È uno strumento classico di delegittimazione quello di accusare di antisemitismo chiunque difenda i diritti di un popolo schiacciato, umiliato e che subisce sistematicamente violazioni della legalità internazionale da decenni. Chi come noi ha condannato senza alcuna ambiguità l’atto terroristico di Hamas contro i civili del 7 ottobre, può essere accusato di tutto tranne che di antisemitismo. Quello che rivendichiamo è da un lato la pace come strumento di garanzia anche della sicurezza dei cittadini di Israele e dall’altro il diritto sacrosanto di un popolo a vedere riconosciuta la propria dignità, il proprio Stato e il proprio futuro.»

Non è il caso che Ue e Onu si coordinino per intervenire rapidamente sulla gestione della crisi umanitaria?

«Sarebbe necessario. L’Onu da molti decenni ha segnalato la natura dell’occupazione militare come quella di una violazione del diritto internazionale, talvolta evocato nella narrazione un po’ retorica del dibattito pubblico, che però funziona come le targhe alterne. L’Europa non c’è sulla politica estera, come non c’è sul terreno delle politiche di difesa. O l’Europa assume un protagonismo in grado di dare a questo continente una prospettiva, una propria strategia autonoma rispetto alla scena globale oppure il futuro stesso dell’Europa è a rischio e il suo silenzio lo dimostra. Il circolo vizioso dell’orrore, della morte e della violenza non si interromperanno per miracolo, ma serve la politica. L’Europa, senza una visione e una strategia, contribuisce alla delegittimazione delle Nazioni Unite e all’indebolimento di ogni luogo di governo nelle crisi internazionali. Lo scenario internazionale impone che l’Europa si ponga il problema di esistere nella scena globale e di giocare una funzione e un ruolo, cosa che continua pericolosamente a non fare. Con questa postura, dentro questa crisi che si allarga si fa permanente, ripeto, rischia la scomparsa.»

Alla Convenzione del Psi ha fatto una proposta precisa: l’Europa si doti di un esercito e di una difesa comuni…

«Penso che la costruzione di una difesa comune europea sia l’unica strada da perseguire, anche per superare un modello obsoleto di spesa che grava sui bilanci nazionali e al quale non corrispondono risposte efficaci rispetto alle risorse investite. Ma a patto che ci sia una politica estera comune europea, che si investa cioè sul processo di integrazione, che si superi il meccanismo dei veti, che investa sulla propria soggettività e sulla propria autonomia.»

Quali punti di convergenza tra forze politiche che potrebbero avviarsi insieme verso le elezioni europee?

«Le parole attorno a cui è stata organizzata la discussione della vostra Convenzione nazionale “pace, ambiente e lavoro”, indicano la strada. L’Europa può essere un antidoto e può contribuire a scrivere il futuro del mondo intero e delle nostre società se lavorerà per la pace, la diplomazia, il diritto internazionale, la de-escalation, la smilitarizzazione come approccio ai conflitti; se investirà sulla conversione ecologica e se si occuperà della grande questione del lavoro, della giustizia sociale, della giustizia fiscale, della ridistribuzione della ricchezza, della liberazione del lavoro. Tutte questioni che hanno accompagnato l’idea che ha fondato la speranza dell’Europa. Recuperare quella vocazione e farlo attorno a queste priorità è il centro della battaglia che abbiamo davanti, che attraverserà le elezioni europee ma che va molto oltre il 9 giugno. Una possibilità che va praticata con intelligenza e generosità.»

Ti potrebbero interessare