Intervista di Lorenzo Cinquepalmi
Per Bruno Tabacci siamo a uno snodo epocale: nel 2024 il voto europeo vedrà contrapposte due idee di Europa diverse, ma anche due visioni di società radicalmente opposte. Il presidente di Centro Democratico, è stato ospite della Convenzione del Psi in un dibatitto con Enzo Maraio, NicolaFratoianni e Angelo Bonelli e in questa intervista ha tracciato un percorso possibile verso le elezioni europee.
La politica italiana vede le elezioni europee come un’occasione per misurare il peso dei partiti tra due elezioni parlamentari. Qual è il valore delle prossime europee?
«I Paesi d’Europa stanno perdendo peso e rilievo economico; il benessere europeo, negli ultimi vent’anni, è stato garantito dall’export verso la Cina, la cui crescita sembrava infinita, dall’energia a basso costo grazie agli idrocarburi russi, e dall’ombrello militare americano. Adesso, l’espansione dell’economia cinese è in frenata, il gas russo non c’è più, e anche la protezione militare americana non è più scontata, soprattutto se il prossimo presidente USA dovesse essere Trump. È evidente che l’Europa deve darsi un altro modello, possibile solo se gli stati membri decideranno di darsi una difesa comune, una diplomazia comune, una politica economica comune e un sistema fiscale comune. In una parola, se l’Europa diventerà uno stato federale. L’idea di Europa della destra, imperniata sulla prevalenza della sovranità degli stati membri, è egoista, sbagliata e miope, incompatibile con le sempre maggiori esigenze di solidarietà tra le diverse aree geografiche, le diverse popolazioni e le diverse condizioni sociali; e con l’esigenza degli europei di vivere in un paese che torni a essere autorevole e rispettato in uno scenario geopolitico completamente mutato, in cui neppure i più forti tra i paesi europei sono più abbastanza forti. Ormai è l’Europa che deve sedere nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Anche la forza militare degli europei, se frazionata in 27 eserciti nazionali, resterà sempre una forza secondaria; la difesa comune, tra l’altro, consentirebbe di razionalizzare la spesa militare, ottenendo maggiore efficienza con minor costo»
.Politica estera comune, difesa comune: significa intervenire nelle crisi, come in passato facevano gli USA. Come vede la crisi israelo-palestinese?
«Credo che qualsiasi democratico che creda nella libertà e nei diritti non possa che condividere le parole del Presidente Mattarella, che ha invitato tutti a riconoscere il diritto dei palestinesi a vivere liberi e sicuri in uno stato palestinese libero e sicuro. Sono convinto che solo da questo possa nascere una pace duratura, che consenta anche agli israeliani di vivere nella sicurezza che oggi manca. Non c’è un’alternativa alla soluzione due popoli e due stati. L’Europa deve diventare capace di assumere un ruolo protagonista nello scenario internazionale. In questo anno 2024 si vota in mezzo mondo; alla fine dell’anno la situazione internazionale potrebbe essere profondamente diversa da quella in cui ci siamo sempre mossi: non la possiamo affrontare come singoli stati.»
Sabato eravate su un palco, alla Convenzione socialista, quattro leader: un democristiano, un socialista, un verde e il segretario di Sinistra Italiana. Eppure, sembravate parlare la stessa lingua. È solo il miracolo del nemico comune?
«Siamo a uno snodo epocale: nel 2024 il voto europeo vedrà contrapposte due idee di Europa molto diverse, come dicevo prima, ma anche due visioni di società radicalmente opposte. Se l’affermazione della destra più estrema, quella di cui la Presidente del Consiglio italiana è una leader europea, fosse tale da determinare una guida d’Europa condizionata da Vox e Orban, il modello continentale di società basata sul welfare e tendente alla giustizia sociale verrebbe gradualmente sostituito dalle logiche dell’egoismo che vediamo affermarsi negli stati membri già governati da quella parte politica. Nessuna delle forze presenti su quel palco può accettare quella prospettiva. Abbiamo in comune un’idea di politica diversa da quella che si è vista in Italia negli ultimi trent’anni: vogliamo il governo delle cose in luogo dell’esercizio del potere; e, quindi, l’equilibrio dei poteri al posto del debordare dell’esecutivo a scapito del parlamento e della rappresentanza popolare. La manovra a tenaglia della destra, tra introduzione del premierato e autonomia differenziata, vorrebbe completare l’erosione dei contrappesi destinati a frenare la tentazione dell’autocrazia, spegnendo ancora di più il coinvolgimento dei cittadini nella politica. Già oggi vota poco più della metà del corpo elettorale. La visione che cerchiamo di contrapporre alla solitudine del capo che piace tanto alla destra, è quella di una società coinvolta nell’elaborazione politica attraverso un ritrovato ruolo dei partiti, sia come luoghi di formazione della coscienza civile che di espressione della volontà politica. La gente, se vede che non può contare, smette di votare. Io voglio fare in modo che tornino a contare non solo il giorno delle elezioni, e spero di farlo insieme ai socialisti, ai verdi, alla sinistra e, magari, anche ad altri.»