Intervista a Mario Serpillo (Uci):«La nobile politica green scaricata sulle spalle del coltivatori»

Intervista di Daniele Unfer

«Le proteste hanno un tratto comune e alcune specificità nazionali. Occupandoci delle problematiche che interessano tutti, dobbiamo partire da un presupposto fondamentale; i produttori agricoli sono aziende come tutte le altre, e quindi devono necessariamente badare al loro sostentamento economico, in mancanza del quale l’azienda chiude».

A parlare è Mario Serpillo, Presidente dell’UCI – Unione Coltivatori Italiani – per fare il punto sulle “proteste dei trattori” che stanno mettendo in difficoltà un intero comparto. Una protesta che ha radici profonde e che in queste settimane si sta ampliando in diversi Paesi dell’Unione Europea. Serpillo è un presidente “storico”, avendo ottenuto la prima “investitura” nel 1995. Ha guidato e guida l’associazione con un impegno che dura quasi da 30 anni.

Presidente, da dove nascono le proteste e quali sono le ragioni?

«Oltre alla loro funzione socio economica, consideriamo anche la struttura delle aziende; in Italia soprattutto sono piccole, sono molto legate alla proprietà terriera di un tempo e non hanno la forza né di attuare grandi investimenti né di recitare un ruolo di primo piano nelle dinamiche di mercato. Le aziende agricole, anzi per meglio dire i contadini, oggi, protestano perché sono frustrati, perché la loro esistenza stessa è messa a repentaglio. Non riescono a coprire i costi di produzione. Pensiamo alla stessa dinamica applicata al settore; chi produrrà il nostro cibo? Chi gestirà i nostri terreni? Chi conserverà le nostre tradizioni?»

I produttori parlano di un insopportabile rialzo dei prezzi lungo la filiera mentre per loro i margini sono sempre più bassi. È così? 

«È così. Lo vediamo nella pratica. Negli ultimi cinque anni è successo di tutto. Prima la pandemia mondiale, poi la crisi energetica ed infine la guerra. Secondo l’Istat, nel 2023 in media i prezzi al consumo sono cresciuti del 5,7%, dall’8,1% nel 2022. I prodotti energetici costano di più, i carburanti di cui anche i trattori si alimentano hanno visto il costo esplodere. C’è stata poi la moria dei fertilizzanti che venivano dall’Ucraina, con la chiusura anche di alcuni sbocchi commerciali importanti per il made in Italy. Siamo anche chiamati a fronteggiare l’invasione delle multinazionali che hanno compreso come il più grande business di sempre sia proprio il cibo. Lo vediamo dall’atteggiamento forzatamente green della Commissione. Per non parlare della crisi dell’acqua.»

Quindi? Come se ne esce?

«È necessario invertire la rotta e andare a premiare la qualità e l’eccellenza del nostro cibo, il ruolo di sentinella ambientale e della salute che il cibo svolge per noi. Dobbiamo proporre accordi di filiera su vasta scala, sostenere i contadini con politiche attive nei confronti delle aree interne e montuose, prevedere politiche locali e nazionali di sviluppo integrato e sburocratizzare le procedure di rimborso e di sostegno.»

La questione ambientale ha un ruolo in tutto questo?

«Ha un’importanza strategica e fondamentale. Sappiamo da anni che abbiamo un enorme problema ambientale legato al climate change e l’accordo di Parigi in seno alla Cop21 prevedeva una serie di impegni per evitare di raggiungere temperature più alte di 1,5° C. La cronaca ci dice che abbiamo fallito. Da un lato la mancata ratifica da parte di Trump, dall’altro l’ostruzionismo cinese hanno di fatto evitato la sua applicazione ma poi i già ricordati fattori diversivi come l’aggressione russa all’Ucraina, la crisi energetica ed ora il conflitto in Medio Oriente, hanno distolto l’attenzione dei governi da questi fondamentali impegni. Anche la Cop28, chiusa il 13 dicembre scorso a Dubai, ha di fatto lasciato inalterato lo scenario. Gli obiettivi sono lontani e Trump potrebbe tornare. L’Europa ha chiesto ai contadini ed agli allevatori europei di abbandonare la chimica e le modalità produttive clima alteranti nell’immediato, proprio per salvaguardare l’ecosistema, affidando ai produttori un ruolo che poi di fatto non riconosce loro. Il nobile intento è stato di fatto scaricato sui poveri contadini.»

E il Governo cosa potrebbe o dovrebbe fare in questo contesto?

«Il Governo può porre in essere qualche misura, ad esempio può intervenire sulle agevolazioni per i carburanti agricoli, che sono un costo significativo per la bolletta energetica. Potrebbe alleggerire l’Irpef delle aziende agricole. Ma la Pac e tutto ciò che governa il nostro sistema produttivo agricolo e zootecnico, si decide a Bruxelles. La nota positiva è che lo scorso 31 gennaio la Commissione europea ha inteso prorogare, ma purtroppo sul solo 2024, la moratoria sulla buone condizioni agronomiche ambientali, consentendo di non lasciare incolto il 4% della Sau aziendale, seppur ad inedite, precise e pesanti condizioni. Non possiamo attenderci nulla di più da questa Commissione e da questo Parlamento perché sono in scadenza.»

Ma a giugno si vota…

«Dobbiamo mandare a Bruxelles persone competenti. La nostra politica intanto potrebbe smettere di stipulare accordi con le multinazionali (come fatto con Mc Donald’s poco meno di un anno fa) e stimolare la tutela del vero made in Italy nel mondo, per assicurare margini più decorosi ai nostri produttori.»

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