Intervista a Formigli: «Con questo governo l’Italia isolata in Ue. Ma la sinistra ritrovi l’iniziativa politica.»

Intervista di Giada Fazzalari

Corrado Formigli è giornalista, autore e conduttore televisivo. Da inviato in Medio Oriente, per primo entrò a Jenin subito dopo i raid israeliani dell’aprile 2002. Dal settembre del 2011 è autore e conduttore di Piazza Pulita, la fortunata trasmissione di La7 cui Formigli ha dato il taglio assai raro del giornalismo d’inchiesta. Molti sono stati i suoi reportage dalla Siria e dall’Iraq, da dove ha raccontato le violenze dell’organizzazione terroristica paramilitare dello Stato islamico e dell’ISIS. Un profilo credibile caratterizzato dall’intelligenza affilata e un tratto deciso: la libertà integrale del giornalista di razza.

Intanto un bilancio sul governo Meloni. Da quando si è insediato, cosa è cambiato?

«La sensazione è che il Paese non si sia mosso nei suoi fondamentali, che non ci sia un progetto di futuro, ne’ per i nostri ragazzi, ne’ per la ricerca. Un paese dove i fondamentali, anzi, sono arretrati, come la sanità che è sempre in maggiore difficoltà. Dove non si fa abbastanza per i giovani, penso alle decine di migliaia di ragazzi che continuano a lasciare il nostro Paese, perché il grande problema dell’Italia non è l’immigrazione ma l’emigrazione dei nostri talenti. Vedo un Paese fermo, dove si è gonfiata la propaganda, senza uno slancio o una svolta verso il futuro».

Giorgia Meloni sembrava aver puntato molto sul rafforzamento della politica estera. Eppure è proprio lì che sembra essersi indebolita: inconcludente sul Patto di Stabilità europeo, mancata ratifica del Mes, posizione debole sull’Ucraina…

«Mi sembra che l’Italia conti sempre meno sullo scenario internazionale: ci siamo schierati con l’Occidente ma non con e per l’Unione Europea. Sono peggiorati i rapporti con Francia e Germania, il Paese non ha ottenuto praticamente nulla di consistente con i proclami e i pugni sul tavolo annunciati sul tema dell’immigrazione; con la mancata ratifica del Mes si è messo in una posizione isolata in Europa senza che si comprenda la ragione se non quella della competizione interna con Salvini; complessivamente ininfluente sulla questione Ucraina, con una posizione schiacciata sugli Stati Uniti ma non propositiva per il futuro. L’unico vero lampo di verità sull’Ucraina Giorgia Meloni lo ha dimostrato quando è stata gabbata dai due comici russi, sostenendo che l’Europa si sia stancata della guerra in Ucraina e dimostrando una evidente discrepanza tra i proclami pubblici e il suo reale pensiero».

E poi c’è la posizione politica che il governo ha assunto sul conflitto israelo-palestinese… 

«L’Italia ha avuto una tradizione importante nei suoi rapporti con il Medio Oriente: siamo presenti nel sud del Libano e siamo sempre stati dialoganti sia con Israele che con i palestinesi. Oggi anche su questo tema non c’è una posizione incisiva o una iniziativa politica dell’Italia per arrivare a un cessate il fuoco. Mi pare che siamo anche in questo caso appiattiti e ininfluenti, con un unico elemento positivo e cioè l’aver mandato una nave ospedale militare al largo della Palestina. Un gesto umanitario importante ma è troppo poco per un paese come l’Italia».

A breve si terranno le elezioni europee. Prima parlavi di una competizione che probabilmente vedrà soprattutto scontrarsi, anche con toni accesi, proprio Meloni e Salvini…

«Ormai la politica è tutta così, una continua competizione elettorale che sembra avulsa dai risultati e dagli obiettivi da raggiungere nell’interesse collettivo. La preoccupazione principale di Meloni sembra quella di fare di tutto per non offrire il fianco destro a Salvini e di arginarlo dal punto di vista elettorale. È come se Giorgia Meloni si fosse dimenticata di quello che aveva annunciato quando è diventata Presidente del Consiglio; aveva detto: “farò quel che serve all’Italia senza avere l’ossessione di essere rieletta o di inseguire il consenso”. Mi pare che stia facendo l’opposto e credo che questo non porterà niente di buono all’Italia».

Il rischio che l’Europa si tinga di nero esiste, ma l’opposizione sembra non riuscire a parlare con una sola voce per scongiurare questo scenario. Per quale ragione?

«Perché la più grande assicurazione sul futuro politico di Giorgia Meloni è questa opposizione che non fa l’opposizione. C’è un soggetto più centrista che sembra spesso desiderare di entrare nell’orbita della maggioranza che opporvisi, penso a Renzi, come a Calenda. Poi c’è il Pd che si trova in una fase complicata perché sta scontando un cambio di leadership e una traversata nel deserto che richiederà anni per riacquisire un indirizzo chiaro. Poi ci sono i Cinque Stelle che non perdono occasione per distinguersi dal Pd e per smarcarsi da qualunque ipotesi di campo largo. Basti vedere come è andata con il voto sul Mes, dove la principale preoccupazione di Conte era quella di smarcarsi da Schlein. Penso che questa opposizione così come è adesso non vada da nessuna parte. E non vedo grandi ostacoli di Giorgia Meloni a continuare a dominare la scena politica».

E cosa dovrebbero fare la sinistra e il maggiore partito di opposizione per essere più incisivi?

«La preoccupazione principale del Pd dovrebbe essere quella di recuperare l’iniziativa politica. Un esempio: per quanto lo si possa criticare, il M5S si è contraddistinto in questi anni per iniziative politiche che tutti ricordano, che si condividano o meno. Si fa fatica a pensare altrettanto rispetto al Pd».

Iniziative, quindi, che non ci sono oppure che non arrivano al proprio elettorato?

«Mi domando perché ad esempio la sinistra non si sia impegnata su battaglie che potrebbero proiettare il Paese verso il futuro. Ne cito tre: riconvertire immobili abbandonati dello Stato da destinare ad abitazioni per i giovani. Prevedere un posto gratuito all’asilo nido per ogni nuovo nato a prescindere dal reddito: sarebbe una misura universalistica a favore dell’emancipazione delle donne, per incentivare l’occupazione femminile; la terza, chiedere ai nostri talenti all’estero di rientrare e scrivere una nuova riforma della ricerca e dell’università. Invece delle solite polemiche e di discorsi vaghi mi aspetterei un’iniziativa politica concreta, con l’indicazione delle coperture finanziarie per i vari progetti».

Tornando al conflitto in Medio Oriente. A Gaza i morti civili non si contano più, Israele utilizza cibo, acqua, elettricità come armi di guerra. Cosa deve succedere ancora perché la comunità internazionale non si impegni perché cessi questo crimine contro l’umanità?

«A me pare che la comunità internazionale abbia accettato questo stato di fatto e questo è di una gravità immensa. Perfino la strage del 7 ottobre, che è all’origine di questa guerra, rischia di essere dimenticata di fronte all’enormità di quello che sta accadendo adesso. Non è più di una guerra di autodifesa ma è una di ritorsione»

C’è il rischio di un allargamento del conflitto?

«È un rischio più che concreto. Fino a oggi, un accordo tra Arabia Saudita e Iran ha fatto in modo che non si verificasse e che Hamas in qualche modo rimanesse isolato. Oggi con l’annuncio di altri mesi di bombe e di massacri di civili temo che il rischio dell’allargamento torni molto concreto e che quell’accordo possa saltare. Israele non intende dare i visti automaticamente ai funzionari delle Nazioni Unite, e questo significa considerarli uno Stato nemico e Guterres come fiancheggiatore dei terroristi. Se siamo arrivati a questo punto, chi può fermare tutto questo? L’unica speranza, che è molto lontana, è che Biden e l’Europa possano fare qualcosa. Per ora siamo tutti testimoni atterriti e impotenti di questo massacro».

Non pensi che sul tema della guerra e non solo, il mondo dell’informazione in Italia abbia anche un po’ contribuito ad esasperare lo scontro tra chi la pensa in modo diverso?

«Recentemente Piazza Pulita ha mandato in onda uno speciale dal titolo ‘Shalom’ sulla guerra. Abbiamo messo in fila tutte le immagini girate da due bravissimi film maker palestinesi a Gaza, mostrando la guerra dal di dentro; in più abbiamo raccontato la strage del 7 ottobre, le manifestazioni a favore di Israele in Italia, raccolto le testimonianze dei familiari degli ostaggi. Da quando è andato in onda questo speciale sono stato attaccato da alcuni personaggi che mi hanno accusato di essere un negazionista della Shoah, solo per aver mostrato quello che accade a Gaza.
Il clima attorno al racconto della guerra è diventato insostenibile, basta mostrare un bambino morto a Gaza per essere accusati di antisemitismo. È una forma di degenerazione del dibattito pubblico, che però non parte dai giornali ma dalla irresponsabilità dei leader politici che utilizzano linguaggi inaccettabili per chi ricopre ruoli istituzionali. Su ogni tema politico si costruisce l’idea dell’amico contro il nemico. Chiunque svolga un’azione di critica – e il giornalismo dovrebbe svolgere una funzione critica – viene immediatamente schiacciato in una dimensione politica. Questo a noi per esempio è successo con il governo Meloni».

In che modo?

«Un programma come Piazza Pulita viene accusato di essere in realtà un partito politico camuffato, perché non si accetta l’idea che un giornalista possa esercitare una critica rimanendo distante dall’appartenenza politica. In sostanza se tu ci critichi ti devi candidare nel partito opposto e tutto questo è inaccettabile».

Questo sembra che neanche alcuni giornalisti o intellettuali italiano lo comprendano…

«Ho letto un intervento di Giampiero Mughini che su Dagospia, a proposito di questo clima da stadio che si crea anche tra amici e colleghi su Israele e Palestina, racconta di uno scontro in cui un suo amico protestava contro la vistosa sproporzione tra i morti civili palestinesi rispetto a quelli israeliani. Mughini sosteneva che non c’era da stupirsi, che fosse normale, perché in fondo la guerra è fatta così. E ricordava Hiroshima, Nagasaki e i bombardamenti americani su Dresda. Ecco, i casi che lui ricorda risalgono alla seconda guerra mondiale. E allora la domanda è: dal 1945 ad oggi non è cambiato niente? Le democrazie, le organizzazioni internazionali, il diritto internazionale, in settant’anni di sviluppo e di democrazia non hanno cambiato niente? Dobbiamo accettare quindi che se tu uccidi uno, io ne ammazzo venti perché sono più forte di te? Mi rifiuto di pensare questo e mi oppongo all’idea per cui siccome è sempre stato così, dobbiamo accettare che Gaza diventi una nuova Aleppo. E’ inaccettabile che tutto questo avvenga con una scrollata di spalle».

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