Dal Mes all’affaire Giorgetti, il governo non è più credibile

di Andrea Follini

La mancata approvazione del Parlamento italiano alla revisione del 2021 del Meccanismo Europeo di Stabilità, sta già producendo i suoi effetti. Nulla a che vedere con conseguenze sul piano economico o finanziario, bensì squisitamente politiche. Partiamo intanto dal voto stesso: l’astensione di Forza Italia e dei centristi, da sempre forti sostenitori della causa europea, traccia una frattura profonda nella visione non solo dell’economia ma anche della politica internazionale del Governo; più autonomista e nazionalista quella della destra-destra, più internazionalista quella dei centristi. Continuiamo poi con il Ministro dell’Economia Giorgetti, che ci ha messo del suo quando ha dichiarato che, fosse dipeso esclusivamente da lui, la ratifica del trattato sul Mes ci sarebbe stata. La cosa ha subito fatto gridare le opposizioni -per una volta in modo unanime- alle dimissioni del ministro per palese mancanza di convergenza con il Governo. Certo è che per uscirsene con questa frase, il Ministro probabilmente avrà in precedenza rassicurato i partner europei su una possibile definizione positiva della partita, anche per non giocarsi la sua autorevolezza attorno al tavolo dell’ecofin. Ma a bruciarla, questa autorevolezza, ci ha pensato in parlamento il suo partito, assieme ai compagni di governo di Fratelli d’Italia. Ora il nostro Paese ha una credibilità diversa in Europa e ciò non è certo un bene. Lo abbiamo visto anche con la vicenda del patto di stabilità europeo, di cui i più forse non hanno ancora ben chiare le conseguenze dirette sul nostro Paese, ma non tarderanno a scorgerle in termini di rigore della spesa, riportandoci ad un recente passato non proprio virtuoso. Ma c’è probabilmente anche un fronte interno a cui Giorgetti pensava pronunciando quella frase: da tempo in Lega, attorno alla figura del segretario Salvini, non vi è tutta quella compattezza di un tempo. Troppo decisionista, troppo lupo solitario, troppe scelte non azzeccate, con conseguente calo dei consenti (e migrazione di iscritti) verso Fratelli d’Italia. Il fronte degli europeisti anche all’interno della Lega cresce, come cresce il desiderio nei militanti di un partito più radicato al territorio e più moderato, sullo stile di amministratori di rilievo nel partito, come Zaia o Fedriga, che nell’Europa non vedono un nemico ma un interlocutore. O, appunto, come Giorgetti. Il quale deve inghiottire anche questa polpetta avvelenata, dopo quella sugli extraprofitti delle banche, provvedimento anche quello voluto dal suo segretario. Le opposizioni dovrebbero concentrarsi forse un po’ di più su queste diversificazioni così palesemente evidenti nella maggioranza, e svolgere il loro ruolo di controllo e proposizione facendo maggiormente emergere quanto questa deriva isolazionista in Europa non faccia affatto bene al nostro Paese. A sei mesi dalle europee, le forze in campo devono dichiararsi con chiarezza e sta alla sinistra far passare il messaggio che la destra italiana in una Europa più coesa, più ampia e con più poteri non crede. Anche perché, nell’assenza di una linea di fondo che spieghi quale visione futura per l’Europa a 27 e più si ha in mente, a poco potrebbero servire tatticismi legati alla salvaguardia di candidature di tizio o di caio in questo o quel collegio. Lasciamo che questo gioco lo giochi la destra, come peraltro sta già facendo, e lo vediamo dal riposizionamento di autorevoli parlamentari europei che si spostano da questo a quel partito pur di ritrovarsi in una casa potenzialmente vincente. Dichiariamo invece il nostro costante europeismo, sicuri che il futuro del nostro benessere passi anche per le scelte che verranno prese nel parlamento di Bruxelles, cose che rende maggiormente necessaria la nostra attiva presenza per le elezioni del prossimo giugno, per non lasciare l’Europa nelle mani di la vorrebbe distruggere.

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