Intervista a Fabio Martini: «Craxi, l’ultimo internazionalista. Sul Medio Oriente capì prima di altri»

Intervista di Giada Fazzalari

Sostiene Fabio Martini: “È un destino curioso e stimolante: ogni anniversario della scomparsa di Bettino Craxi finisce per coincidere con qualche evento, italiano o internazionale, che in qualche modo richiama battaglie che lo hanno visto protagonista. Craxi non è stato un santo, come tutti i leader ha fatto i suoi errori, ma il campo dei suoi interventi è stato così largo che all’alba di questo 2024, ad esempio, ci “parla” la sua visione della vicenda mediorientale: certo, fu vicino alla causa palestinese, ma nel suo più celebre discorso, difese anche le ragioni di Israele. Perché alla fine questa è stata la sua cifra politica: nessuno tra i leader italiani del dopoguerra fu come lui un combattente di tutte le cause di libertà e di emancipazione dei popoli. E questo lo portò ad essere, in momenti diversi, amico stretto degli Stati Uniti ma mai vassallo. È stato l’ultimo internazionalista attivo nel campo socialista e questo, sia detto, senza retorica, gli è costato caro: probabilmente gli è costata la vita”.

A 24 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, del leader socialista parliamo con Fabio Martini, giornalista de “La Stampa”, autore di un libro, “Controvento”, uscito quattro anni fa, un saggio che – a sentire studiosi ed ex dirigenti socialisti – è riuscito a restituire l’essenza del personaggio, mantenendo le necessarie distanze critiche.

L’ultimo internazionalista, una definizione impegnativa: cosa la giustifica?

«Craxi, esattamente come il suo maestro Pietro Nenni, non ebbe mai una visione provinciale della lotta politica, nutrì la sua militanza dal contesto internazionale. Quando aveva vent’anni, lui giovanissimo militante del Psi credeva nella natura socialista dei regimi dell’est europeo, ma fece un viaggio a Praga e passeggiando per strada, fu fermato da diversi passanti che in francese gli dissero: ‘Guarda che qui non è come pensate in Occidente, qui c’è un regime di polizia’. E quando tornò in Italia, ancor prima di Nenni, coltivò un’idea autonomista del socialismo.»

In altre parole divenne un critico ostinato del comunismo per prova provata, questo lo ha reso poi così determinato nella successiva lotta contro l’autoritarismo sovietico?

«È così. C’è un altro episodio eloquente, che ben pochi conoscono e che sono riuscito ad inserire nel libro perché me lo ha raccontato Beppe Scanni, colto e appassionato collaboratore di Craxi: nel 1958 il giovane Bettino partì in treno per Pechino, un viaggio durato mesi e durante il quale coltivò la speranza che in Cina si potesse affermare un comunismo ‘diverso’. Di quel viaggio parlò Renata Pisu, giovane studentessa che sarebbe diventata autorevole sinologa, che nel suo diario annotò le prime parole che gli rivolse quel giovane: ‘Vouz étes chinoise?’. E lei: ‘Ma non farmi ridere!’. E scrive: “L’italiano si chiama Bettino Craxi, ci eravamo dati appuntamento in piazza Tienanmen e lui mi ha cantato ‘Nel blu dipinto di blu’, una canzone nuova che in Italia, mi ha detto, va molto”. Quella sera Craxi aveva 24 anni e Pisu 23 e questo frammento sfuocato restituisce un’immagine potente e toccante: di quei due giovani italiani che in una piazza immensa, sperano di trovare le premesse di una palingenesi politica. La cercheranno ma non la troveranno.»

Sulla vicenda mediorientale Craxi di solito è indentificato con la causa palestinese. In questo caso in cosa si manifestò un apporto internazionalista?

«Nenni fu molto vicino ad Israele nella sua fase nascente e Craxi fu con lui ma nel famoso discorso che da Presidente del Consiglio tenne alla Camera dopo la vicenda Sigonella, il 6 novembre 1985, in merito all’occupazione dei territori palestinesi disse: “Quando Israele fu minacciata tutti fummo con Israele, ora essa occupa da 18 anni territori arabi che vanno restituiti in cambio della pace”. Noi oggi sappiamo che i 18 anni di allora sono diventati 47 e quell’occupazione di fatto persiste. E disse pure: “Contesto l’uso della lotta armata all’Olp, non perché ritengo che non ne abbia diritto, ma perché sono convinto che lotta armata e terrorismo non risolveranno il problema della questione palestinese. Lotta armata e terrorismo faranno solo vittime innocenti, ma non risolveranno il problema palestinese”. Credo non ci sia bisogno di interpretare queste parole e la loro attualità.»

Cosa vuol dire che proprio il suo internazionalismo costò caro a Craxi?

«L’Italia, per nostra fortuna, nel 1948 si trovò nella sfera occidentale a dispetto dei socialisti allora filo-stalinisti e tuttavia è innegabile che molte vicende siano state condizionate sotto traccia dall’influenza americana e dai loro interessi, talvolta in modo brutale. L’Italia è stata a lungo una sorvegliata speciale e pochi leader hanno cercato di privilegiare gli interessi nazionali, anche quando questi interferivano con tutti gli establishment. Senza pelose dietrologie ma personalità assai diverse tra loro come De Gasperi, Mattei, Olivetti, Moro, Craxi, Borsellino, Falcone, per ragioni diverse finirono i loro giorni in modo non pacificato.»

In altre parole Craxi non è stato mai vassallo di nessun potere?

«È così. Si schierò per gli euromissili e anni dopo dalla Casa Bianca dissero che la caduta dell’impero sovietico si doveva anche alla tenuta del Psi, ma poi venne il Craxi di Sigonella. Con i proventi delle tangenti, ebbene sì, finanziò i Movimenti di liberazione contro il comunismo e contro il fascismo. Il riconoscimento più grande al suo internazionalismo sta nelle parole che Vaclav Havel, guardato a vista dai poliziotti cechi, confidò a Ripa di Meana: ‘Lui ha rotto il rapporto di sempre tra potere e cultura. Tra chi può e non sa, e tra chi sa e non può. Lui sa e fa’. Parole che, da sole, valgono una vita.»

 

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