Intervista a Clementi:«La riforma del Governo sul premierato è confusa e ambigua. Una bandiera utile per la campagna elettorale»

Intervista di Giada Fazzalari

Francesco Clementi è costituzionalista, professore ordinario di diritto pubblico italiano e comparato presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Si occupa soprattutto di forme di Stato e di Governo, libertà e rappresentanza politica. È commentatore per le questioni politico istituzionali per Il Sole 24 ore. Autore di diversi saggi, il suo ultimo fortunato lavoro, edito da Il Mulino, si intitola “Il presidente del Consiglio. Mediatore o decisore?”. Con Clementi abbiamo analizzato la riforma costituzionale proposta dal Governo Meloni, che ha indicato come “confusa e ambigua”: indebolirebbe il premier ostaggio di una maggioranza blindata e finirebbe per svilire il ruolo fondamentale del Capo dello Stato.

Lei ha sostenuto che la riforma Meloni sul premierato anziché rafforzare il Presidente del Consiglio, lo indebolirebbe. Un paradosso… 

«La proposta del Governo è molto confusa ed ambigua, producendo forti rigidità che sono dannose e del tutto inutili anzitutto a risolvere il problema dell’instabilità di governo, che è l’obiettivo che invece si dice di voler perseguire. Per cui, anche per uno studioso come me aperto alle riforme e al rafforzamento della premiership per sanare le ben note “degenerazioni” del parlamentarismo, la soluzione proposta è assai fragile nonché paradossale in quanto invece di rafforzare il Presidente del Consiglio appunto lo indebolisce».

Perché?

«Perché si persegue l’elezione diretta, convinti che dia stabilità, mentre invece dà solo rigidità. Il Presidente del Consiglio non ha infatti i poteri che hanno i suoi omologhi colleghi, a partire dalla possibilità di revocare i ministri. Per cui l’elezione diretta produce solo un Presidente che, pur legittimato direttamente dal voto degli italiani, essendo a poteri invariati, finirà per essere – se posso dirla così – “tutto chiacchiere e distintivo”. Aggiungo inoltre che l’eletto direttamente sarà ostaggio di una maggioranza blindata, che può sfiduciarlo quando vuole, finendo appunto per far sì che vi sarà una maggioranza parlamentare più blindata del premier popolarmente eletto che la traina alla vittoria. Surreale».

Se così fosse, Meloni dovrebbe allora rivedere una riforma-bandiera del suo mandato. O andrà avanti?

«Naturalmente non so cosa farà. Registro due cose: che questo è un testo tecnicamente molto debole ma politicamente molto forte, frutto cioè di un accordo importante tra le forze politiche di maggioranza, essendo un testo legato a doppio filo al progetto di autonomia differenziata, che interessa molto alla Lega di Matteo Salvini. E poi che è un testo dove gli elementi “di bandiera” sono molto evidenti: utili strumenti per fare campagna elettorale, rinverdendo i propri slogan».

E del Capo dello Stato delineato da questo testo cosa pensa?

«Il Capo dello Stato esce fortemente indebolito. Non potrebbe neanche intervenire per salvare il Paese quando il sistema politico-partitico va in crisi oppure quando gli eventi esterni rendono impossibile alle maggioranze politiche governare i processi. Insomma questa proposta spegne il “motore di riserva” del Paese. Eppure un conto è porsi il problema di far funzionare meglio il primo motore, cioè il rapporto maggioranza-Governo, un altro è eliminare nei fatti il secondo, il Presidente della Repubblica, che può invece sempre servire».

Non era più appropriato pensare allora a un presidenzialismo sullo stile di altre democrazie europee?

«La politica naturalmente fa le sue scelte. Tuttavia oggi, in un tempo di crisi economica nel quale le disuguaglianze sociali non mancano, i sistemi ad elezione diretta, verticalizzando il potere, se non sono accompagnati da un forte riequilibrio sul piano delle garanzie, rischiano oltremodo di spaccare le società, divaricando l’elettorato in tifoserie, dentro una logica amico-nemico. Non ci serve direi. In fondo, non dobbiamo eleggere una persona da sola al comando: dobbiamo solo scegliere una maggioranza di Governo collegata a un premier. E non serve un’elezione diretta per fare ciò».

L’articolo 49 della Costituzione sui partiti politici non è mai stato davvero applicato e ad oggi risulta insufficiente. Non pensa sia venuto il momento di occuparsene?

«Sarebbe molto importante sanare una anomalia che ci rende ormai uno dei pochi ordinamenti europei che non ha una legislazione specifica in tema. Tuttavia dubito che, in questo clima politico, i partiti decidano di autoregolarsi».

Legge elettorale: c’è chi ritiene che soglie di sbarramento troppo alte e premi di maggioranza spropositati abbiano prodotto parlamenti di nominati.

«Personalmente ritengo che proporzionale con le preferenze dia il meglio di sé solo se esistono partiti già fortemente strutturati, capaci cioè di resistere al loro interno alla lotta “di tutti contro tutti”, che è proprio il tipo di competizione che le elezioni comunali insegnano. Forse meglio puntare su altre soluzioni per affrontare il problema di una classe politica per lo più disconnessa dagli elettori».

Cosa pensa delle dichiarazioni di Giuliano Amato rilasciate nell’intervista a Repubblica sui giudici della Consulta, che Giorgia Meloni ha commentato?  È davvero in gioco la democrazia? 

«Ho letto e molto apprezzato, se posso, l’intervista del Presidente Amato che evidenzia le aporie di un tempo nel quale la democrazia è davvero sotto attacco nel mondo. E tutti noi dobbiamo esserne molto consapevoli. E poiché di certo anche la Presidente Meloni questo lo sa – basta guardare come ha schierato il nostro Paese in ragione dell’invasione russa dell’Ucraina o dell’attacco terroristico di Hamas contro Israele – sono rimasto francamente molto sorpreso dalle sue parole, immaginando non abbia letto in realtà l’intervista di Amato ma l’abbia solo superficialmente commentata. In quel ruolo, mi pare un errore blu: che non poteva che portare come naturale conseguenza alla scelta di Amato, con eleganza, di chiamarsi fuori, dimettendosi».

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