Il fascismo, Liliana Segre e le parole che mancano

di Nautilus

Dopo l’adunata neofascista di Acca Larentia a Roma in pochi hanno trovato le parole giuste. Non le hanno trovato i giornali di destra e nella sostanza i rappresentanti dei Fratelli d’Italia, che hanno saputo soltanto rimproverare la sinistra, perché si è indignata per la manifestazione dei camerati romani mentre lo stesso sentimento, dicono loro, non veniva espresso quando a palazzo Chigi c’erano esponenti di centro-sinistra. Ma che c’entra? Oggi al governo c’è Giorgia Meloni che mantiene nel simbolo del proprio partito la fiamma missina, un segno di continuità con la storia neofascista dell’Msi, che sta nel simbolo e nei cuori dei Fratelli d’Italia.
Le parole giuste non le ha trovate chi, a sinistra, è arrivato a paragonare il 2024 al 1924. Per favore! Gli antifascisti che hanno combattuto il vero fascismo, meritano rispetto per il loro sacrificio davanti ad un nemico che era feroce: nel 1924 i fascisti al governo ammazzavano gli oppositori per strada e nelle campagne, le elezioni erano manomesse, mentre oggi i camerati che mimano il saluto fascista sono ragazzotti, che hanno bisogno della penombra per le loro truci bravate.
Ma se nessuno trova le parole giuste, il tessuto emotivo e della memoria si degrada e rischia di avere tragicamente “ragione” Liliana Segre. Nelle scorse settimane la senatrice a vita, donna di straordinaria consapevolezza e di formidabile chiarezza concettuale, davanti alle nuove espressioni di antisemitismo (che si sono aggiunte a quelle di sempre e al fascismo eterno, come lo chiamava Umberto Eco), ha usato parole amarissime: “Per chi conserva il ricordo incancellabile dei segnali montanti dell’odio antico che allora sfociò in persecuzione, si aggiunge un senso di inutilità e di scoramento che non è facile dominare”.
“Un senso di inutilità”. Parole terribili. Gli orrori dell’Olocausto si pensava avessero vaccinato una volta per sempre l’umanità, ma le adunate in stile nazista dei ragazzotti neofascisti ci dicono che la strada da fare è ancora lunga.

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