Intervista a Cassese: «La crisi dei partiti ha creato un vuoto. Ma possono tornare ad essere ponte tra Stato e cittadini»

Intervista di Giada Fazzalari

Sabino Cassese è tra i giuristi più autorevoli e prestigiosi del nostro Paese, figura di spicco nel panorama giuridico italiano. Già Ministro della funzione pubblica nel governo Ciampi, è stato per un decennio giudice della Corte Costituzionale. Alla sua lunga attività d’insegnamento in diverse università italiane e straniere, ha affiancato un’intensa produzione di manuali di diritto e di saggi – alcuni hanno fatto scuola – ultimo dei quali, “Le strutture del Potere” edito da Laterza, è un lungo e interessante dialogo con la giornalista Alessandra Sardoni. Cassese, uno dei maggiori conoscitori della pubblica amministrazione italiana, delle sue leggi a volte farraginose e delle proposte di riforma dell’architettura istituzionale, ritiene che siano la lentezza della burocrazia e la selezione del personale due dei fattori su cui bisogna intervenire per risanare l’enorme macchina della pubblica amministrazione. In questa intervista abbiamo analizzato le riforme messe in cantiere dal governo, con un passaggio, non irrilevante, sul ruolo dei partiti nel panorama politico italiano.

Professor Cassese, da decenni lei spiega alle classi dirigenti di questo Paese ma anche all’opinione pubblica, come riformare lo Stato, nelle istituzioni rappresentative e nella pubblica amministrazione. Nel corso degli anni si è proceduto per aggiustamenti successivi e da qualche mese il centrodestra ha presentato un progetto di riforme, molto discusse, che riguardano l’esecutivo e l’articolazione regionale. Rispetto ai tanti problemi esistenti – già studiati e analizzati – non pensa che sia un progetto incapace di far fronte alla complessità delle questioni sul tappeto?

«Quelli ora progettati sono interventi puntuali, relativi al centro e alla periferia. La parte mancante riguarda la pubblica amministrazione. Infatti, una volta rafforzato il vertice e le periferie, occorre porre mano alla parte esecutiva, quella che riguarda la burocrazia. Lì molto c’è da fare, sia perché molte strutture sono obsolete, sia perché le procedure sono troppo sequenziali e quindi lente, sia perché il personale è poco motivato, sia, infine, perché c’è bisogno di una migliore selezione del personale».

Negli ultimi mesi sono state frequenti le polemiche sul disegno di legge sulla autonomia differenziata. Esse sono, a suo avviso, strumentali al dibattito politico oppure davvero c’è il rischio che si spacchi l’Italia in due, come molti hanno osservato? Qual è il punto “vero” che può aprire ad ulteriori disparità tra Nord e Sud del Paese?

«Il punto di svolta c’è stato a dicembre 2022, quando il progetto di autonomia differenziata è stato condizionato alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. In sostanza, a quel punto, è stato stabilito che prima bisogna assicurare eguali diritti a tutti gli italiani, indipendentemente dal territorio dove risiedono, poi si può provvedere a concedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie di legislazione concorrente, come prevede l’articolo 116 della Costituzione, modificato nel periodo 1996-2001 per iniziativa del centrosinistra».

Nel suo ultimo libro ‘Le strutture del potere’ – intervista di Alessandra Sardoni – affronta, tra le altre cose, il tema del deep state con una ricognizione e ricostruzione sulle strutture profonde del potere. Quali sono le caratteristiche principali del funzionamento dei poteri ‘invisibili’ e come cambia il deep state, a suo avviso, rispetto ai governi che si alternano?

«Il potere ha subito tre cambiamenti importanti. Da verticale è diventato orizzontale, da dominio è diventato egemonia, da potere di decisione è diventato potere di negoziazione. Quindi, il potere oggi è meno concentrato all’interno ed è meno dotato di sovranità verso l’esterno. Quindi è meno piramidale. Inoltre è aumentata la sua visibilità. Questo non vuol dire che non vi siano ancora delle zone in cui il potere è oscuro. Una di quelle zone riguarda proprio il modo in cui si manifesta il potere, attraverso le norme, la cui complessità e comprensibilità, in Italia è minima».

Viste le caratteristiche del deep state italiano, si può parlare di lobby delle magistrature amministrative?

«Non tutte le magistrature, ma alcune, in particolare la Corte dei conti, si comportano come una sorta di gruppo di pressione. Singolare il caso in cui gruppi della Corte dei conti hanno chiesto al governo di “aprire un tavolo” per negoziare i poteri della stessa Corte dei conti, adoperando anche la terminologia che è propria dei sindacati. Tutto questo è molto particolare perché la Corte dei conti è uno dei grandi corpi dello Stato».

Quanto lo strapotere dei burocrati di Stato danneggia – o blocca – le scelte che i governi assumono?

«La burocrazia ha una funzione ausiliaria. Deve applicare le leggi e seguire gli indirizzi del governo. È quindi guidata dal Parlamento, che adotta le leggi, e dal governo che stabilisce priorità ed obiettivi. Essa è vincolata al dovere di imparzialità, disposto dalla Costituzione. Quando lo viola, viola la Costituzione».

Nell’ultimo trentennio i partiti politici sono stati demonizzati dalla vulgata comune come ricettacoli di malaffare. La loro crisi – e la conseguente nascita di movimenti populisti – coincide con una crisi della democrazia oltre che di rappresentanza? L’art. 49 della Costituzione, del resto, non ha conosciuto mai una completa attuazione.

«Dopo un cinquantennio in cui ci si è lamentati dalla partitocrazia, stiamo assistendo, ora, da un ventennio, ad una crisi dei partiti-associazione. Basti pensare che il numero degli iscritti era una volta di circa l’8% della popolazione, oggi è del 2% della popolazione. Poi, i partiti non hanno più ramificazioni locali. Congressi regionali nazionali si svolgono raramente. La crisi dei partiti è una crisi della democrazia perché i partiti sono l’organo di trasmissione degli indirizzi della società civile allo Stato. E svolgono anche una funzione aggregativa della domanda politica. Hanno un ulteriore compito fondamentale, che è di carattere educativo, perché nei partiti, nel dibattito, aumentano conoscenze e competenze mentre si formano gli indirizzi politici e si seleziona la classe dirigente dello Stato».

È anche per questa ragione che oggi si ‘costruiscono’ e si formano classi dirigenti mediocri? O il problema è proprio il contrario? E cioè che non si da più peso alla formazione delle classi politiche?

«Le classi dirigenti politiche si formavano nei partiti associazione. Quando questi hanno cessato di essere associazioni sono diventati meri comitati elettorali, è venuta a cessare la loro funzione di formazione e quindi c’è un vuoto nello spazio che sta tra la società e lo Stato».

Possono i partiti tornare a essere ‘ponte’ tra Stato e cittadini?

«I partiti possono ritornare a svolgere il ruolo di ponte tra Stato e cittadini. Perché questo accada occorre che riprendano la loro natura di associazione e quindi che vi sia una offerta politica che incontri la domanda politica e svolga quell’attività di promozione che consente di costituire una loro base ampia, come era quella di una volta».

Che cosa ne pensa del ddl Nordio, specialmente su reato d’abuso d’ufficio, stretta sulle intercettazioni?

«Ritengo che vadano nella giusta direzione. L’abuso d’ufficio, come altri reati indicati nel codice penale, si riferisce ad un comportamento indicato in maniera troppo generica e presenta quindi due inconvenienti. Il primo è quello di non precisare a sufficienza i contorni del reato. Il secondo è quello di dare un’eccessiva latitudine alla discrezionalità delle procure e dei giudici. Quanto alle intercettazioni, il problema sta nell’uso eccessivo che si fa di questo strumento di raccolta delle prove, a danno di altri strumenti più sicuri e meno invasivi».

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