Intervista a Bobo Craxi: «La politica era tutto per lui»

di Lorenzo Cinquepalmi

Oggi è quasi un’ossessione proclamare la separazione tra vita privata e vita pubblica: il mito della privacy. Com’era per voi?

«Papà apparteneva ad una generazione per cui politica era tutto: da cosa indossavi a cosa guardavi in tv. Lui, poi, aveva un rapporto con i suoi ideali totalizzante, romantico, risorgimentale: tutta la vita al servizio dell’idea. La sua stessa fine in esilio ha questo significato».

Una scelta mazziniana…

«Lui avrebbe preferito dire garibaldina».

Uno spirito ottocentesco, romantico. Quindi un uomo di emozioni?

«Di grandi emozioni. Nelle relazioni era guidato dalla ricerca di un rapporto di fratellanza, di comune appartenenza a una comunità. Una volta sollecitò un incontro a via del Corso con un importante capocorrente del partito col quale c’era una forte divergenza. Quando questo, all’arrivo, affrontò il tema politico, Bettino lo interruppe dicendogli che ne avrebbero parlato dopo, ma lui voleva soprattutto chiedergli come stava sua figlia, che aveva una grave malattia».

E con Nenni com’era?

«Un rapporto filiale, una devozione virile. Nenni e papà si vedevano a Roma, ma comunque si telefonavano ogni domenica mattina. Non c’erano i cellulari e non sapevi chi era a chiamare; qualche volta ho risposto anche io, per poi passarglielo. Li sentivo parlare al telefono con la confidenza e l’intesa di chi è cresciuto insieme».

E aveva rapporti fraterni anche con altri politici non socialisti: democristiani, comunisti?

«Aveva grande confidenza con alcuni esponenti milanesi, che conosceva da sempre, come Marcora tra i democristiani e Cossutta tra i comunisti. Molti non milanesi della sua generazione li conosceva fin dalle giovanili. Aveva diffidato di Andreotti ma quando lo ebbe come ministro degli esteri nel suo governo, imparò a stimarne l’intelligenza e a rispettarlo. Il rifiuto socialista per il pregiudizio lo aveva educato a saper cambiare idea. Hanno lavorato bene insieme».

E Berlinguer?

«Non lo capiva, ma aveva grande rispetto per il popolo che rappresentava».

Un po’ come per Almirante?

«Beh, nel rispetto per gli elettori che lo votavano si. L’accettazione delle regole costituzionali e la partecipazione alla democrazia parlamentare dei post fascisti imponeva di interloquire con loro per rispetto delle stesse regole. Ma la pregiudiziale antifascista era qualcosa di molto diverso e più profondo della critica al comunismo italiano, ferma naturalmente la lotta contro il totalitarismo sovietico che però non assimilava al progetto politico del Pci. Mio padre Bettino era ed è sempre rimasto un uomo di sinistra, che ha lottato per l’affermazione in Italia di una sinistra moderna, europea, riformista. La storia gli ha dato ragione e gli sconfitti non glielo hanno perdonato».

È questo, per reazione, all’origine della migrazione a destra di tanti socialisti?

«Forse. Ma non giustifica, però, il tentativo della destra di impossessarsene, di farne una figura di riferimento. Ecco perché sbaglia, e tradisce la sua memoria, anche mia sorella Stefania, che pure ha svolto un’opera meritoria con la fondazione Craxi. Tentando di portarlo in dote a chi ne è stato storicamente avversario politico, mistifica la realtà incontrovertibile: nostro padre Bettino era un uomo di sinistra e con questa nuova ondata dell’internazionale nera non si sarebbe mescolato mai, avrebbe messo in ombra la sua storia di socialista».

E nella vita di tutti i giorni a Milano cosa facevate?

«A Milano c’era solo nei fine settimana liberi da impegni politici o istituzionali, e non erano molti. Ci capitava di mangiare in qualche trattoria intorno a casa. Non amava i ristoranti eleganti. C’era sempre almeno un agente di scorta, che, come puoi immaginare, condiziona parecchio nei movimenti. Ricordo di averlo accompagnato a qualche incontro politico milanese non lontano da casa, andando a piedi con la scorta dietro. Gli piaceva ma ci riusciva di rado. Una volta invece, mentre andavamo a un incontro in macchina e guidavo io, siamo rimasti imbottigliati nel traffico e stavamo tardando. Ha detto “prendo la metro” ed è sceso, inseguito dall’agente di scorta. Avrei voluto vedere la scena».

Come Churchill nell’ora più buia…

«Chissà se ha attaccato bottone. Spesso era assorto nei suoi pensieri ma sapeva aprirsi. Quel film gli sarebbe piaciuto, per come trasmette il senso della responsabilità davanti alla storia, il peso delle decisioni, gli imperativi morali che devono orientarle».

Tuo padre aveva un sorriso aperto, smagliante. Ma io ricordo un video in cui, parlando del suicidio di Sergio Moroni, gli si è spezzata la voce e bagnati gli occhi. Come hai detto, era un uomo di emozioni…

«È così, era un temperamento romantico, fatto di passioni oltre che di ragione. La dose di cinismo che è connaturata al potere non apparteneva al suo carattere intimo, poteva al massimo essere uno strumento per dominare la sua umanità, che era profonda. Chi ha fatto parte della sua cerchia più stretta ne ricorda il carattere ruvido ma anche l’istinto di compenetrarsi nel sentire altrui. Ignorava l’interesse e l’egoismo: sentirsi addebitare fini di arricchimento lo ha addolorato profondamente, perché per lui non c’era altra ragione del suo agire che non fosse la politica».

Qualche sentenza lo ha riconosciuto, alla fine.

«Si, ma il suo cuore era spezzato».

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