di Giada Fazzalari
Negli anni di Hammamet Aldo Cazzullo era un giornalista che seguì, per il quotidiano La Stampa, il declino, umano e politico, di Bettino Craxi. A 25 anni dalla scomparsa, firma per Rizzoli un libro dal titolo potentissimo: “L’ultimo vero politico”. Dove emergono, però, luci e ombre. “Un ritratto in chiaroscuro” – dice. Un libro appena uscito e certamente destinato a far discutere.
Da cosa è nata l’idea?
«Intanto, io c’ero. Non ho mai conosciuto Craxi quando era potente, ma ho seguito da giornalista l’ultima parte della sua vita. Un servizio che mi ha segnato molto. È stata una tragedia che all’inizio è stata scambiata per una farsa. Quando la casa editrice Rizzoli mi ha proposto di scrivere questo testo l’ho scritto volentieri, facendo emergere sia il leader da giovane, poi il periodo del potere e infine la caduta».
Qual è il profilo che ne esce fuori?
«È un ritratto in chiaroscuro, di luci e di ombre. Il libro inizia così: “io ero uno di quei milioni di italiani a cui Craxi, quando era Craxi, non piaceva”. Lo riconosco, non mi piaceva, non perché fossi comunista. Lo trovavo arrogante, prepotente, anche se poi ho scoperto che era una forma di timidezza. Quando gli ho parlato, nei giorni di Hammamet, avevo ritrovato una persona gentile».
Il titolo del tuo libro è potente. Stride con gli anni che ci separano dalla scomparsa, in cui il caso Craxi si è preferito liquidarlo in altri modi. Qual è il bilancio politico che ne fai?
«In chiaroscuro anche quello: fu il primo socialista a diventare Presidente del Consiglio, che fece eleggere un Presidente della Repubblica socialista, Sandro Pertini; poi ci fu Sigonella, indisse un referendum vincendolo. E se ci pensi, non è successo quasi a nessun leader. Ha avuto al contempo grandi meriti e grandi demeriti. Poi però alla fine, sotto la sua leadership, il Partito Socialista si è quasi disintegrato. Qualche responsabilità ce l’avrà anche lui».
La vicenda giudiziaria, anche quella fu però di luci e ombre.
«Non c’è dubbio che Craxi abbia pagato anche per altri. Era molto esposto, persino fisicamente. Era un uomo molto fisico, grande, irruento. Non a caso Vittorio Feltri lo aveva soprannominato “il Cinghialone”, diventando il bersaglio di una caccia grossa. Era esposto anche dopo Tangentopoli. I democristiani, ad esempio, erano sfuggenti, dicevano di non avere memoria dei fatti contestati. Craxi rivendicò quella stagione e pagò anche per altri, divenendo sicuramente un capro espiatorio. Non perché fosse innocente».
E aveva avuto il coraggio delle sue azioni, come altri non avrebbero mai fatto, neanche dopo.
«Craxi offriva il petto, sempre. Anche alle critiche. Quando gli dicono di uscire dal retro all’Hotel Rafael, lui preferisce uscire dalla porta principale. È chiaro che se offri il petto, il nemico spara. La Dc era un agglomerato di correnti; De Mita non era un leader politico, era un segretario di partito. Neanche Andreotti era un leader politico, era un uomo di governo, pragmatico, di potere. Craxi era un leader politico».
Ma dopo Tangentopoli non fu trattato come tale.
«Noi italiani non abbiamo un buon rapporto maturo con i leader politici. Il leader non viene sostenuto o criticato, il leader viene bandito o abbattuto. Pensa quanti leader nella storia italiana, personaggi diversissimi tra loro e assolutamente non paragonabili tra loro, hanno fatto una brutta fine. Mussolini a testa in giù, Enrico Mattei esplode in volo con il suo aereo, Moro nel bagagliaio della Renault rossa, Craxi sepolto sotto il muro della Medina di Hammamet, Andreotti sotto processo per mafia. Noi pensiamo di essere un Paese da operetta, invece siamo un Paese feroce e questi episodi che ti ho raccontato lo dimostrano plasticamente».
Cosa ricordi di quel periodo di Hammamet? Era spesso circondato da persone?
«Craxi era un uomo potente e gli uomini potenti non sono mai da soli, hanno sempre una piccola corte attorno. Il Craxi in disgrazia non era più un uomo potente ma aveva ancora una corte che sembrava quasi una corte dei miracoli, a volte c’era tutta la giunta di Aulla, c’erano personaggi televisivi di Raidue, c’erano giornalisti, qualche amico che non gli aveva voltato le spalle, c’era il ragazzo tunisino a cui Craxi aveva fatto mettere i denti nuovi. Era amatissimo ad Hammamet».
Nel ‘95, in un’intervista rilasciata proprio da Hammamet, Craxi ha dichiarato, cito testuale: “Sono stato l’unico grande leader di sinistra che l’Italia abbia avuto negli ultimi venti- trent’anni”. Però c’è chi vorrebbe associare la figura di Craxi alla destra. Un’operazione fantasiosa.
«Questo è il paradosso della storia italiana. Craxi è stato difeso più dalla destra, che non da una certa sinistra. Da Berlusconi. Ad esempio, la destra italiana vede in lui il primo autore del presidenzialismo».
Non per questo, però è giusto consegnare la sua figura alla destra; è paradossale, lui di certo non lo avrebbe voluto.
«Lo penso anch’io, assolutamente. Si sentiva profondamente un uomo di sinistra, però quando andò a Palazzo Chigi fece una politica “di rigore”, come il taglio della scala mobile. E non a caso i comunisti fecero il referendum contro e lo persero. Di solito i leader perdono i referendum e Craxi invece lo vinse».
Perché è stato scelto questo titolo?
«Ho accettato la definizione “l’ultimo vero politico” proposta dalla Casa editrice Rizzoli, perché sono certo che Craxi sia stato un vero politico, che non significa fare tutto giusto, ma può anche riferirsi a qualcuno che ha compiuto tanti errori, come è stato nel suo caso. “L’ultimo vero politico” perché dopo di lui comincia un’altra stagione. La forza di Berlusconi era proprio quella di non essere un politico. Per intenderci, era lo stesso Berlusconi che pendeva ordini da Craxi, non viceversa, che cresceva sotto la sua ombra. C’è stata un’inversione dei ruoli: Craxi che vede Berlusconi che fonda un partito e prende il 21% alle prime elezioni e il 30% all’europee, naturalmente resta interdetto. Insomma, finiva una stagione che aveva tante cose negative. Io non sono uno che rimpiange la prima Repubblica perché era la Repubblica dello strapotere dei partiti, che non permetteva neppure ai cittadini di esprimere la preferenza».
Certo, però grazie ai partiti, che svolgevano il loro ruolo essenziale di ponte tra Stato e cittadini, emergevano classi dirigenti di qualità.
«Non c’è dubbio che la classe dirigente di allora fosse un livello superiore rispetto a quella di adesso. Però i partiti avevano troppo potere. Anche se di positivo avevano ad esempio le scuole di partito, formavano classe dirigente; oggi questo non succede più e infatti il livello è molto più basso».
A 25 anni dalla scomparsa di Craxi ci sono state varie iniziative editoriali di livello – la tua di cui parliamo, quella di Fabio Martini, di Massimo Franco, il film Hammamet stesso – che hanno avuto l’effetto di fare in parte riscoprire Craxi per quel che è stato. Il caso Craxi pesa sulla coscienza collettiva del Paese?
«In parte sì. Lui si sottrasse ai processi e fuggì all’estero, questo è un dato di fatto come lo è il fatto che sia stato costretto a morire ed essere sepolto all’estero. Questa è oggettivamente una ferita per il Paese. D’Alema, da Presidente del Consiglio, offrì i funerali di Stato che la famiglia rifiutò sdegnata, ma pensa se la famiglia avesse accettato che bomba sarebbe stata. Un uomo morto per lo Stato italiano in latitanza, che viene onorato con un funerale di Stato…»
Solo che Craxi voleva tornare in Italia da uomo libero. Non da morto…
«Questo fu uno scoop di cui vado orgoglioso, La Stampa ci aprì il giornale. Gli altri mezzi di informazione sostenevano che stesse trattando per il rientro, invece Gianni Pennacchi del Giornale ed io venimmo a sapere che in una telefonata con Pillitteri, Craxi disse che voleva essere operato e che eventualmente sarebbe stato pronto a morire lì. Esattamente quello che accadde. Per questo Eugenio Scalfari, uno dei suoi più vivaci avversari, poco dopo scrisse: “l’uomo ha avuto la grandezza della fine”».
Che giudizio ne trai?
«Un giudizio critico, articolato. Si tratta di un protagonista e veri leader politici come lui non sono più emersi nella cosiddetta Seconda Repubblica. Ma sai perché Craxi si è sempre fermato al 14%?».
Perché?
«Craxi era uno di sinistra e quindi la destra non lo votava, perché era “uno degli altri”, nonostante lo preferisse ai comunisti, che erano il nemico, i veri avversari. Oggi possiamo dire che i comunisti avevano torto perché la storia ha dato loro torto. Quando cade il muro di Berlino, Craxi dice: “non voglio che neanche un calcinaccio di quel muro cada su di me”. E invece paradossalmente è caduto più su di lui che non sugli eredi del Partito Comunista. E questo è un altro paradosso della storia italiana».