In Veneto non è tutto oro ciò che luccica

di Andrea Follini

<<Rispetto la sanità privata che è una colonna del sistema, ma in Veneto “saltacoda a pagamento” come in Lombardia non devono trovare alcuno spazio. IL settore socio sanitario è lo specchio della civiltà di un Paese. In Veneto abbiamo sessant’otto ospedali e un tasso più basso di sanità privata rispetto alla maggior parte delle regioni italiane. Eroghiamo ogni anno ottanta milioni di prestazioni e abbiamo almeno due milioni di accessi al pronto soccorso. Per me i pronto soccorso devono essere uguali per tutti e a decidere la fila deve esser solo la gravità delle condizioni del paziente>>. Così diceva il Presidente del Veneto Luca Zaia ai colleghi de Il Sole 24 Ore in un’intervista rilasciata a fine estate. Il Veneto, la Regione rinomata per la qualità dei suoi servizi sanitari, l’isola felice per ogni malato. Ma è davvero così, oppure questa raffigurazione di efficienza teutonica (se mai vi è stata) è solo un ricordo e nulla più? Se lo è chiesto anche la CISL del Veneto, che ha commissionato alla Fondazione Corazzin un sondaggio presso gli utenti del sindacato, i cui risultati sono stati presentati nei giorni scorsi a Mestre, per comprendere quale sia la vera percezione dei cittadini Veneti su una materia così delicata e così costosa, com’è quella della salute. Hanno risposto ai questionari 3.527 persone: il 54,2% con un’età compresa tra 45 e 64 anni, il 29,2% con più di 65 anni ed il 16,6% con meno di 45 anni. Il 54,2% di coloro che hanno risposto sono donne; il 55,4% ancora attivi nel mondo del lavoro, il 39,2% pensionati, il 5% disoccupati e lo 0,4% studenti. Un campione quindi numericamente consistente, diffuso su ognuna delle sette province venete, e assai variegato anche rispetto alla necessità di ricorrere con frequenza alle cure sanitarie. Ne è uscito uno spaccato impietoso, che mostra una popolazione piuttosto scontenta dell’evidente peggioramento della qualità del servizio, dei tempi d’attesa troppo lunghi e soprattutto della carenza di presidi sanitari territoriali, quelli che un tempo erano davvero il fiore all’occhiello della sanità veneta diffusa, con grandi hub ospedalieri nei centri più importanti, collettori delle acuzie provenienti da diversi territori ed un sanità che potremmo definire ambulatoriale, capillarmente presente anche nei centri minori. Un sistema che in Veneto, sembra per i costi di gestione particolarmente elevati, tende a scomparire. Il 31,4% degli intervistati esprime una valutazione negativa sul servizio e soltanto il 9,8% si ritiene soddisfatto. Circa sette cittadini su 10 ritengono che il servizio sanitario erogato sia peggiorato negli ultimi due anni, praticamente dopo la pandemia, tanto da portare il 72,7% del campione a ritenere che tutto ciò succeda per favorire la sanità privata rispetto a quella pubblica. Quindi i buoni propositi di Zaia dovranno trovare presto gambe e “schei” (soldi) se si vuole invertire la rotta e fare dei veneti il popolo orgoglioso dei suo primato in questo campo. Un cambio di paradigma che non sarà facile, se il 67,2% di chi ha fatto un accesso ad un pronto soccorso veneto ha espresso su tale primario servizio un giudizio fortemente negativo, come il 57,6% di insoddisfatti degli ospedali di comunità, o ancora il 54,7% che giudica negativamente il servizio di assistenza infermieristica domiciliare. Da più voci, compresa quella socialista, in Veneto si chiede alla Regione di aprire un tavolo di confronto a tutto campo sul servizio socio sanitario, che coinvolga le forze sociali e politiche di questi territori, prima che sia troppo tardi; prima che la sanità pubblica perda quell’eccezionale valore universale che è costato molto raggiungere.

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