In Israele e Palestina il popolo vuole la pace

di Stefano Amoroso

Il discorso del Presidente Mattarella, in occasione delle celebrazioni per la “Giornata della memoria” dello scorso 27 gennaio, non lascia spazio ad ambiguità. Secondo il presidente della Repubblica, la persecuzione nazifascista degli ebrei, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, fu un crimine contro l’umanità. Tuttavia, chi utilizza quella tragica storia per compiere altre stragi e negare il diritto ad esistere ad altri popoli, compie uno scempio ancora maggiore: da un lato oltraggia la memoria storica degli eventi e dall’altro crea i presupposti per altre stragi, per nuovi attacchi terroristici, per il perpetuarsi dell’odio. Le parole di Mattarella sono importanti anche perché inducono a scavare in profondità nella carne viva della nostra politica: se c’è una destra (post?) fascista che pretende di chiamarsi fuori dalla Shoah, addossando tutte le colpe ai nazisti, quando invece il regime fascista collaborò convintamente alla segregazione ed alla deportazione dei cittadini di etnia e religione ebraica, c’è anche un rigurgito antisemita che cresce. Nello stesso tempo, come non vedere nelle sanguinose vicende di Israele e Palestina, dal 7 ottobre ad oggi, una ripetizione degli schemi del passato? Quando, cioè, l’obiettivo di fondo non era solo sconfiggere il nemico, ma annientarlo ed annichilirlo. Secondo l’Onu, aggiornando i dati a fine gennaio 2024, c’erano stati oltre 26 mila morti palestinesi e circa 1500 israeliani, conteggiando anche i soldati di ambo le parti. Ma i soldati non sono le principali vittime di questo conflitto: l’Organizzazione delle Nazioni Unite, basandosi su fonti affidabili, calcola che più del 70% delle vittime siano donne o minori. Dunque, a rigor di logica, si può parlare di guerra di sterminio. Perché quando si praticano stupri, menomazioni ai genitali femminili e rapimenti di massa (come ha fatto Hamas nel tragico 7 ottobre) ed uccisioni sistematiche di donne e bambini attraverso bombardamenti e tiri dei cecchini (come fa l’esercito israeliano sin dal giorno dell’invasione di Gaza), è evidente che non si sta cercando solo la vittoria sul nemico: si vuole il suo sterminio. Il Governo italiano, intanto, si è trincerato dietro ad un muro di silenzio ed ambiguità: ufficialmente continua a sostenere Israele ma non gli fornisce più armi, porta in Italia alcune decine di bambini palestinesi a curarsi ma non fa pressione per un cessate il fuoco a Gaza, sostiene la necessità di liberare gli ostaggi in mano ad Hamas, ma poi non fa nulla di concreto per rendere realizzabile uno scambio di prigionieri pur di rendere reale il ritorno a casa dei cittadini israeliani rapiti lo scorso 7 ottobre. Insomma, su Gaza, come purtroppo su tanti altri scenari geopolitici mondiali, l’Italia ha scelto di rendersi invisibile. A cercare di interrompere questa logica dell’occhio per occhio, che rischia di infiammare tutto il Medio Oriente, per fortuna ci sono tante persone di buona volontà su entrambi i fronti. Sul fronte israeliano, dove bisogna registrare la clamorosa protesta dei parenti ed amici degli ostaggi che hanno fatto irruzione nel Parlamento israeliano interrompendo una seduta, per invocare azioni concrete per salvare la vita dei loro cari, la sinistra socialdemocratica di Meretz sostiene di essere “con Israele, ma contro il Governo Netanyahu”. Ad illustrare la posizione del partito in Italia ci ha pensato Roberto Della Rocca, membro della direzione nazionale di Meretz. “Ci sarà una commissione d’inchiesta, e sicuramente i capi dell’intelligence si dimetteranno appena sarà possibile farlo senza mettere a rischio Israele. L’unico che non ha nessuna intenzione di prendersi le sue responsabilità è Netanyahu, perché sa che per lui sarebbe la fine”. Specularmente, sul fronte palestinese, si moltiplicano le proteste contro la brutalità ottusa di Hamas e dei jihadisti. Pochi giorni fa, in due distinte manifestazioni spontanee a Gaza, la formazione terroristica guidata da Yahya Sinwar è stata pesantemente criticata. “Pescecani di guerra” li hanno definiti nella prima manifestazione a Rafah, in quanto i capi di Hamas si approprierebbero degli aiuti umanitari, per poi rivenderli a prezzi maggiorati alla popolazione. Nella seconda manifestazione, tenutasi all’ingresso di un ospedale nei pressi di Khan Yunis, ci si è spinti addirittura al punto di auspicare una Gaza ed una Palestina libere da Hamas. Impensabile, solo fino a poco tempo fa

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