Il pericoloso risiko delle grandi potenze in guerra

di Lorenzo Cinquepalmi

Il nuovo anno si presenta con un’eredità più gravosa di quella che il 2023 aveva ricevuto dal 2022: un anno fa, oltre a un certo numero, purtroppo abituale, di conflitti definiti ipocritamente “a bassa intensità”, la comunità internazionale, ma soprattutto l’Europa, si confrontavano con una guerra campale tra due stati del cosiddetto “primo mondo”. La prima tra due Stati sul continente europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. A quel conflitto, l’anno che lasciamo alle spalle ha aggiunto un’altra guerra campale in riva al Mediterraneo orientale, tra Israele e palestinesi; non inedita se non per il brutale massacro di civili che in essa si sta consumando. L’anno che ci attende non promette miglioramenti, dal momento che al suo esordio il leader di un altro grande paese, disertato dalla democrazia e dai principi di salvaguardia dei diritti umani, l’ultima potenza comunista, ha annunciato, in modo freddo e sprezzante, al suo popolo e al mondo, che l’indipendenza di Taiwan ha le ore contate, sottintendendo di avere ben appreso la lezione russa. Quello che, seppure con le eccezioni della “bassa intensità”, avevamo creduto un tabù inviolabile: la guerra tra potenze mondiali, sembra ormai irrimediabilmente infranto. Aveva retto dal 1945, prima sull’equilibrio del terrore, della deterrenza nucleare monopolio di due superpotenze. Poi, dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo dell’Unione Sovietica, sull’illusione che la superpotenza rimasta avrebbe garantito, nel ruolo di poliziotto del mondo e su mandato dell’occidente, un diverso equilibrio comunque fondato sul suo sostanziale monopolio della forza. Nel trentennio che è seguito alla fine dell’impero sovietico, la mancanza del nemico militare ha aperto, negli Stati Uniti e in occidente, spazi di espansione prima impensabili per una forma di capitalismo inedito e persino più feroce di quello manifatturiero. Lo si è chiamato turbocapitalismo, lo si è qualificato come finanziario per la sua diversità sostanziale da quello novecentesco, strettamente connesso alla produzione. Lo si è definito globale, perchè l’indebolimento generale del potere politico ha liquefatto i confini entro i quali era stato contenuto. Esso è diventato il vero potere: non territoriale, non militare (se non tangenzialmente). Trasversale, impalpabile e spietato. Del tutto a-ideologico, si diffonde e si radica nei territori che occupa indipendentemente dai regimi che li governano, sovrastrutturandosi senza difficoltà tanto nelle democrazie occidentali dei diritti, che nelle democrature, che in una dittatura comunista come la Repubblica Popolare Cinese. Apparentemente inarrestabile, come un novello Tifone, il gigante alato dalle mani fatte di serpenti che cercò di abbattere Zeus. I suoi processi di espansione, di replicazione, di cooptazione e, soprattutto, di emarginazione, sono i responsabili della progressiva erosione dei principi sulla dialettica tra i quali si era costruito l’equilibrio mondiale. Un equilibrio che ora non regge più. Un equilibrio senza il quale i limiti costruiti in due secoli di progresso dei diritti e dei principi di libertà, uguaglianza, fraternità che sono riflessi nella Dichiarazione Universale, cessano di dover essere rispettati, soccombenti rispetto al vitello d’oro della Grande Ricchezza, controllata da una frazione minimale dell’umanità a scapito di tutto il resto della popolazione mondiale. Traccia, questa dinamica, la traiettoria di un destino inevitabile? Non per forza: spetta a noi europei, che da mille anni di leadership mondiale abbiamo ereditato la responsabilità di questo stato di cose, ma anche gli strumenti per rinchiudere nuovamente Tifone nella fossa di Tartaro, elaborare culturalmente e ideologicamente un modello nuovo e alternativo in cui la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà siano il paradigma vincente. L’Europa è la potenza mancante sullo scacchiere mondiale: grande solo nello spazio economico già dominato da Tifone ma incapace di riunire le sue forze e darsi l’autorevolezza e l’autorità di Zeus. Questa è la sfida di chi, in Europa, si senta ancora erede del sogno della libertà: dalla paura, dal bisogno, di parola e di fede. Perchè, secondo un verso caro ai boomer, l’anno che sta arrivando, tra un anno passerà; e la novità dovrà essere che noi ci stiamo preparando. A rimandare Tifone nel precipizio del Tartaro.

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