Scandalo Verdini, l’Italia non ha ancora una legge sulle Lobby

di Stefano Amoroso

Il recente scandalo che ha coinvolto il noto faccendiere ed ex banchiere Verdini ripropone ancora una volta il tema del lobbismo e della mancanza di una chiara regolamentazione della rappresentanza degli interessi in Italia. Il fatto che il Registro Nazionale dei lobbisti italiani, istituito nel 2016 durante il Governo Renzi, abbia solo poche centinaia di iscritti, la dice lunga sulle parziali ed insufficienti regole attualmente in vigore in Italia.

Girando per i palazzi del potere, sia a Roma che nei capoluoghi di Regione, s’incontra una figura tipica del panorama italiano: quella del faccendiere. Si tratta di un soggetto che compie affari, traffici, condotte o manovre che, anche se lecite in sé, in realtà s’incastrano a comporre un disegno illecito o propriamente criminale. Il faccendiere è l’esatto contrario del lobbista: al contrario di quest’ultimo non agisce alla luce del sole perché ha bisogno di ombra e mistero. Un pregiudizio difficile da estirpare ma molto diffuso in Italia è l’equazione tra corruzione e lobbying, come se il mestiere del lobbista consistesse nel corrompere decisori e funzionali pubblici: niente di più sbagliato. Anzi, regolarne l’attività toglierebbe l’alibi a chi la pensa in questo modo.

Nel corso dei decenni, sono stati almeno 65 i disegni di legge presentati in Parlamento per regolare l’attività dei lobbisti e poterli finalmente distinguere dai faccendieri. Tra i primi tentativi, uno dei più apprezzati per completezza lungimiranza, è stato quello presentato, nel corso del Governo Prodi bis, da Giulio Santagata, Ministro per l’Attuazione del Programma di Governo. Il “DDL Santagata” s’ispira alle regolamentazioni di Paesi come Stati Uniti, Canada e Germania, che sono tra le più ricche e complete sul fenomeno, adattandole alle specificità italiane. Si prefigge di regolare il rapporto tra i gruppi di pressione e i decisori pubblici, garantendo la partecipazione dei rappresentanti di interessi particolari nel processo decisionale legislativo.

Il ddl, prevedendo anzitutto che i decisori pubblici rendano conoscibili a chi ne faccia richiesta i documenti presentati dai lobbisti, individua nel Cnel il soggetto garante dell’esercizio delle attività di lobbying. Si prevede infatti l’istituzione di un apposito «Registro pubblico dei rappresentanti di interessi particolari» per rendere pubblici soggetti, settori e attività di chi influenza i processi decisionali. Compito del Cnel è l’emanazione di un Codice di deontologia il cui rispetto sarà requisito irrinunciabile.

Come soggetto garante delle attività lobbistiche, il Cnel è tenuto anche ad emettere sanzioni: si prevede una sanzione amministrativa che va da 2.000 a 20.000 euro per coloro che esercitano l’attività lobbistica abusivamente, ma anche la censura, sospensione o cancellazione dal Registro dei lobbisti responsabili di falsità, violazioni della legge e del Codice deontologico (art. 8 comma 2).

Purtroppo, il ddl Santagata, approdato al Senato nel novembre 2007, non fu mai discusso, perché il Governo Prodi bis cadde. Anche a causa dell’iniziativa di faccendieri che vedevano questa legge come il fumo negli occhi.

Da allora, nonostante i tentativi ricorrenti, non si riesce a riprendere il bandolo della matassa e non s’intravvedono iniziative legislative risolutorie, anche se qua e là ci sono iniziative regionali (per esempio, presso cinque Regioni, esiste il Registro dei lobbisti), o di singoli rappresentanti del Governo che, in mancanza di una legge, avevano provveduto a istituire un proprio registro.

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