Emilia-Romagna (ancora) sott’acqua. E se smettessimo di fingere?

di Enrico Procopio

Ha ragione la Presidente della Regione Emilia-Romagna, Irene Priolo, quando dice che “serve un Piano Marshall per l’ambiente in Emilia-Romagna” perché “non bastano più le regole e la gestione ordinaria, per eventi così importanti”. La Presidente invoca “Un piano straordinario di prevenzione e difesa del suolo nell’ambito di un piano nazionale” e “finanziamenti strutturali”. Difficile, in senso stretto, darle torto, almeno da un punto di vista teorico. Il problema è essere arrivati fino a dover invocare tutto questo. L’Emilia-Romagna è stata nuovamente colpita da un’alluvione. Sono caduti in meno di ventiquattr’ore oltre 160mm di pioggia, l’equivalente di mesi: sono esondati i fiumi, il fango ha inondato le strade, molte persone sono state nuovamente evacuate dalle loro abitazioni. Un ragazzo di vent’anni ha perso la vita. Il paese dove chi scrive è nato e cresciuto, Budrio, è sommerso dall’acqua e dal fango. Non solo l’Emilia-Romagna è stata colpita da questi fenomeni: disastri simili si sono verificati in Liguria e in Sicilia. Ecco il punto politico e sociale: queste tragedie sembrano essere destinate a diventare la nuova normalità. Molti cittadini colpiti da questi eventi si chiedono perché. Alcuni, sempre di più, cercano un bersaglio verso cui indirizzare la propria rabbia. Attribuire colpe, in politica, non è mai una buona idea: a cavalcare la rabbia e i sentimenti di pancia degli elettori si finisce spesso a fare rovinose cadute. Discorso diverso è quello dell’attribuzione delle responsabilità collettive e politiche, prima ancora di quelle individuali. Quindi, sì: bisogna fare la manutenzione ordinaria e straordinaria, monitorare lo stato dei nostri corsi d’acqua. È indispensabile. Ma, al contempo, non si può tacere di fronte al fatto che tutto l’arco parlamentare non ha ancora affrontato il tema del cambiamento climatico se non in modo squisitamente ideologico. Attenzione a non cadere, però, in una trappola retorica: l’ideologia non è tanto quella degli ambientalisti (sempre vituperati, anche quando i fatti danno loro ragione) quanto, piuttosto, quella di chi ha anteposto le esigenze del mercato al diritto dei cittadini di vivere nei luoghi che abita da sempre, senza rischiare di perdere ciclicamente tutto. La destra è apertamente disinteressata all’ambiente. La sinistra è in difficoltà nel trovare ricette vincenti che coniughino crescita sostenibile e sicurezza ambientale. Il risultato è che allo stato attuale non esiste, nella politica italiana, il coraggio di ripensare un paradigma che ha smesso di funzionare da almeno trenta-quarant’anni (in varie declinazioni e sfaccettature), trascinandosi per inerzia e travolgendo nel frattempo le vite di tanti, troppi nostri concittadini. E non esistono le soluzioni agli effetti di un modello di sviluppo insostenibile, che porta con sé il progressivo sfilacciarsi della fiducia nei corpi intermedi, nei partiti, nella politica. Il problema è che meno politica e meno partecipazione sono una condanna a morte certa. Il più grande scrittore americano vivente, Jonathan Franzen, ha pubblicato nel 2019, sul glorioso New Yorker, un articolo dal titolo “E se smettessimo di fare finta?”, in cui affrontava il tema del cambiamento climatico con una prospettiva diversa: in sostanza, dobbiamo dirci che fermarlo non è possibile. Sotto quella coltre di pessimismo, c’è un’idea di futuro pragmatica e riformista che è molto simile a quella che questo giornale coltiva da decenni e decenni, ovvero il socialismo municipale: se non si può fermare il cambiamento climatico, dunque, ci si può però occupare a tempo pieno di una comunità, avendo il coraggio di assumere scelte e posizioni anche impopolari, a difesa però della maggioranza delle persone. Non abbiamo il potere di fermare la pioggia, ma abbiamo il dovere di provare a difendere ciò che, attorno a noi, cerca faticosamente di prosperare. L’alternativa è l’agonia, in attesa di un Piano Marshall che questo governo non sa, o non vuole, proporre. Non possiamo permettercelo.

 

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