di Lorenzo Cinquepalmi
Luca Palamara, classe 1969, è stato un magistrato e componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Dal 2008 al 2012 è stato presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, il più giovane mai nominato. Nel 2020 le sue dichiarazioni durante un’intervista scoprono il vaso di Pandora delle correnti in seno alla magistratura e dei relativi mediatori per le nomine dei procuratori. Uscito dalla magistratura definitivamente nell’autunno del 2020, si candida alle elezioni politiche ed europee. «In Italia esiste un garantismo a corrente alternata e “le sentenze si rispettano” solo quando fa comodo» osserva Palamara in questa intervista all’Avanti! della domenica. E sulle correnti: «l’idea del magistrato ideologizzato, nonostante le apparenze, oggi viene vissuta con grande insofferenza anche all’interno della magistratura. Si tratta di uno schema dal quale molti magistrati vogliono liberarsi»
Per la Costituzione, la libertà di far politica può essere limitata nei confronti di magistrati, militari di carriera in servizio attivo, di funzionari ed agenti di polizia, rappresentanti diplomatici e consolari all’estero. Per questi servitori dello Stato, tranne che per i magistrati, la legge ha vietato partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative. Si giustifica questa disparità?
«Io partirei da una riflessione. A partire dalla metà degli anni ’60, periodo nel quale nascono le correnti, la magistratura ha deciso di darsi una organizzazione politica. Tale scelta, supportata dal collateralismo delle correnti di sinistra con l’allora Partito Comunista, ha favorito l’idea che il giudice potesse allo stesso tempo esercitare la giurisdizione e contestualmente essere un soggetto attivo nel dibattito politico. Fisiologico che almeno inizialmente da quella parte della magistratura siano usciti personaggi cooptati nelle file dei partiti politici di sinistra. Dico inizialmente perché, seppur in misura minore, anche altri magistrati, a partire dagli anni Duemila, sono stati poi eletti nei partiti di centrodestra.»
Una storia iniziata tempo fa. E poi cosa è successo?
«Con la crisi dei partiti politici la situazione, nei fatti, non è mutata: basti pensare che gli ultimi tre Procuratori nazionali antimafia sono stati assoldati nelle file del Partito Democratico e dei Cinque Stelle alimentando l’idea nell’opinione pubblica che la carriera del magistrato è supportata dalla politica. Tutto questo ha creato un cortocircuito che in qualche modo è entrato in conflitto con l’articolo 98 della Costituzione, che prevede l’imposizione di limiti all’iscrizione dei magistrati ai partiti politici. Quindi non parlerei di disparità di trattamento tra la magistratura e le altre categorie di impiegati pubblici dello Stato, tenendo anche conto del fatto che su questo terreno, nonostante la pronuncia della Corte costituzionale del 2018 sul caso Emiliano, tanti nodi rimangono ancora irrisolti.»
Se è vero che alle elezioni per il CSM vota quasi il 90% dei magistrati, e la componente più votata non è certo quella delle cosiddette toghe rosse, come si spiega che sembra che tutta la magistratura sia fatta di toghe rosse?
«Attualmente sono circa diecimila i magistrati che in qualche modo sono lo specchio del Paese: esiste una componente più ideologizzata, quella che notoriamente fa parte della sinistra giudiziaria; una parte più conservatrice rappresentata da Magistratura Indipendente; una parte più moderata di centro rappresentata dalla corrente di Unicost che, a partire dalle note vicende del caos Procure, è stata dimezzata; e i cosiddetti indipendenti che criticando l’attuale sistema vogliono introdurre un nuovo meccanismo di organizzazione interna. La storia recente della magistratura ci insegna che nei fatti il monopolio culturale è sempre appartenuto alla corrente di sinistra che in qualche modo ha poi influenzato il pensiero e le posizioni delle altre correnti, anche perché indubbiamente quella parte della magistratura ha espresso delle voci autorevoli che sono state capaci di “indottrinare” le generazioni successive. Nel tempo questo monopolio culturale si è andato via via affievolendo perché a partire dalla metà degli anni novanta, molti di noi hanno preferito ragionare con la propria testa.»
C’è un raccordo tra le diverse correnti dell’ANM e le forze politiche delle aree di orientamento delle stesse? O le correnti giocano in proprio?
«Come dicevo all’inizio esiste un’organizzazione politica interna alla magistratura. Le divisioni tra corrente normalmente si verificano in concomitanza con gli appuntamenti elettorali. Una volta svolte le elezioni, si cerca di ripristinare l’unità associativa e quindi si tende a ricompattarsi e a seguire una linea comune che normalmente si rinforza quando tutto ciò che non è sinistra è al governo. Dico normalmente perché è capitato anche che un governo di centrosinistra venne fatto cadere a seguito di un’indagine giudiziaria. Mi riferisco al 2008 e alla nota inchiesta che riguardò la moglie dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella.»
Quanto questa commistione tra politica e giustizia ha gettato discredito, negli anni, sulla magistratura che non è certo fatta solo di toghe politicizzate…
«Le correnti sono nate con i più nobili ideali e hanno indubbiamente fornito un contributo molto importante per la crescita politica e giuridica del Paese. Tuttavia, i tempi sono cambiati e l’idea del magistrato ideologizzato, nonostante le apparenze, oggi viene vissuta con grande insofferenza anche all’interno della magistratura. Si tratta di uno schema dal quale molti magistrati vogliono liberarsi.»
La reazione del governo – ed in particolare di Salvini – rispetto alla decisione dei giudici di rimpatriare i migranti dall’Albania, farebbe pensare ad un atteggiamento “garantista”. Però non è sempre stato così per forze politiche che qualche anno fa sventolavano il cappio in Parlamento. È un garantismo a fasi alterne?
«In Italia esiste un garantismo a corrente alternata e “le sentenze si rispettano” solo quando fa comodo. Non parlerei solo delle vicende che riguardano i migranti dell’Albania ma parlerei ad esempio anche della vicenda Salis. Tutto questo finisce per alimentare una sfiducia verso l’attività del giudice.»