Decapitare Hamas non fermerà il conflitto. Si lavori per far scoppiare una pace giusta

di Andrea Follini

Ed ora? Ora che Israele ha decapitato la leadership di Hamas, mettendo a segno da ultimo anche l’uccisione di Yahya Sinwar, quale sarà il futuro sul controllo della Striscia? L’eliminazione dei vari leader di Hamas ha sicuramente in parte accresciuto la fiducia della destra israeliana nelle capacità del governo di Tel Aviv di arrivare ad una definizione del “problema Hamas”, ma è indubbio che Israele si trovi di fatto in carenza di interlocutori per quanto possa attenere ad una definizione, almeno momentanea, del conflitto. Questa analisi ripropone l’aspetto più sconcertante di tutta questa vicenda sul piano delle relazioni, ossia il fatto che il governo israeliano non abbia alcuna intenzione di trovare un interlocutore, definendo la sua missione con la necessità di un controllo diretto su tutta Gaza. Ma del resto, non è pensabile che, eliminata la nomenclatura palestinese, la forza della ribellione araba si spenga. Ed è quello che sta emergendo in queste ore. La capacità di rigenerarsi di Hamas è conosciuta; nel tempo non è certo la prima volta che una situazione simile si presenta. E lo sanno bene anche gli israeliani. Nonostante le azioni compiute dal governo Netanyahu, non è così certo quindi che il controllo di Gaza passi velocemente di mano. Ma la costruzione politica di un “dopoguerra” dovrebbe cominciare ad essere presa in considerazione. Esiste sempre l’Autorità Nazionale Palestinese; certo, confinata in Cisgiordania, con una leadeship assai debole e, apparentemente, con poca voce in capitolo su quanto sta accadendo. E per questo non sembra essere l’alternativa più sicura nemmeno per quei cittadini di Gaza che non intendono sostenere Hamas perché considerata parte sostanziale del problema. Il rischio quindi è che Israele comprometta la possibilità per i palestinesi di formarsi un orizzonte politico alternativo ed autonomo, in assenza del quale l’unico sentimento permanente resta la resistenza verso coloro che vengono percepiti come invasori; e chi ha dimostrato nel tempo di essere la forza più capace di muovere questa resistenza, è proprio Hamas. Riattivando quindi la continua spirale di violenza e di morte. Un piano per il futuro della Palestina dovrebbe quindi entrare nelle agende politico-diplomatiche di tutti quei Paesi che, nell’area e dell’area, rivestono un interesse. Ci provano gli Stati Uniti; l’ennesima visita del Segretario di Stato Anthony Blinken in Medio Oriente, va in questo senso (e forse anche per calmare le acque dopo la presunta fuga di notizie dell’intelligence Usa sui piani d’attacco israeliani verso l’Iran). Ma questo è sicuramente il periodo peggiore per una dimostrazione di incisività degli Usa, in attesa delle elezioni presidenziali di novembre. Debbono continuare a provarci i Paesi arabi, almeno quelli che sono realmente intenzionati a riprendere la discussione su accordi bruscamente interrotti il 7 ottobre 2023. Nel frattempo, tutto in Medio Oriente sembra un’eterna attesa. Scandita però dalle bombe, dalle morti, dalla carestia e dalla disperazione. Prosegue il serrato bombardamento dal sud del Libano verso Israele; razzi hanno ripetutamente colpito le aree centrali e a nord del Paese. Così come proseguono le operazioni dell’Idf nel sud del Libano, che gioco forza coinvolgono anche i caschi blu dell’Onu, compresi i militari italiani. Non sono mancati ulteriori attacchi israeliani verso infrastrutture dell’Unifil, e ciò risulta preoccupante. In visita in Libano si è recata la Presidente del Consiglio, dove ha incontrato il Primo Ministro Najib Mikati confermando l’interessamento dell’Italia per l’area e riconsolidando i rapporti di partenariato commerciali. Il Ministro degli Esteri italiano Tajani ha invece incontrato il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed il Ministro degli Esteri Israel Katz; e a Ramallah, il Primo Ministro palestinese Mohammad Mustafa, ribadendo la posizione del nostro Paese verso un cessate il fuoco immediato e garantendo il mantenimento della missione Unifil. Tajani ha inoltre evidenziato la necessità di ripristinare un ingente e coordinato sostegno umanitario per Gaza, così come ha invitato, per quanto sta accadendo in Libano, ad evitare una escalation regionale dalle conseguenze imprevedibili: un tiepido rimprovero, ma almeno qualcosa si muove anche dal governo italiano.

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