Dossieraggio: una Repubblica tossica

di Lorenzo Cinquepalmi

Il 22 ottobre 2022 giura il governo Meloni, con Crosetto al ministero della difesa. Il 27 ottobre il quotidiano Il Domani esce con uno scoop sui compensi milionari che il neo ministro della difesa ha percepito dalla principale azienda pubblica del settore difesa: Leonardo SpA (già Finmeccanica SpA). Il quotidiano non rivela la fonte dell’informazione e Crosetto non nega il compenso, dando la sua spiegazione delle ragioni per cui lo ha percepito e negando ogni sospetto di conflitto di interesse. Secondo quanto emerge in questi giorni, però, anche in conseguenza dell’articolo, il responsabile dell’ufficio che si occupa di operazioni finanziarie sospette alla Direzione Nazionale Antimafia, il magistrato Antonio Laudati, svolge delle verifiche sugli accessi alle banche dati con cui lavora l’ufficio da lui diretto e “scopre” centinaia di accessi eseguiti dal Luogotenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano, tra cui anche quelli sui compensi versati da Leonardo a Crosetto pochi giorni prima dello scoop de Il Domani. Laudati fa partire una segnalazione alla Procura di Roma che comincia a indagare. L’indagine, però, nonostante Laudati abbia giocato d’anticipo denunciando lui il finanziere che materialmente ha fatto gli accessi alle banche dati, evidenzia un suo possibile coinvolgimento, che rende necessario il trasferimento dell’indagine alla Procura di Perugia che, per legge, è competente per le indagini riguardanti i magistrati di Roma. Si arriva ad agosto 2023, quando comincia a trapelare la notizia che a Perugia si indaga su un magistrato e su un ispettore della Guardia di Finanza in servizio presso l’Antimafia a Roma. I nomi non vengono fatti ma la competenza di Perugia non lascia dubbi sul coinvolgimento di un magistrato. Soprattutto emerge che l’indagine riguarda il dossieraggio di centinaia di persone “in vista”: politici, imprenditori, gente dello spettacolo. Crosetto, per non sbagliare, fa un esposto. Oggi, si hanno i nomi dei due principali indagati e la dimensione dell’attività oggetto dell’indagine: circa ottocento interrogazioni apparentemente senza giustificazione investigativa. Chi ha dimestichezza con la giustizia penale ha certo avuto a che fare con processi per accessi abusivi a banche dati da parte di personale delle forze dell’ordine; se fino a più di un decennio fa gli accessi erano sostanzialmente anonimi, con l’inevitabile corollario di abusi, da parecchio tempo ogni interrogazione è tracciata: il soggetto autorizzato che interroga una banca dati investigativa deve registrarsi con le sue credenziali e anche indicare il motivo dell’accesso. E sistemi automatici di controllo segnalano ogni anomalia al responsabile del reparto di appartenenza di colui che accede in modo che appare abusivo. Per questo suona strano che il responsabile dell’ufficio che indaga sulle operazioni finanziarie sospette all’Antimafia si sia accorto dell’attività del finanziere solo quando le interrogazioni erano arrivate ad ottocento. E anche le dichiarazioni degli indagati, ma soprattutto del principale di essi, il magistrato Laudati, che assicurano di avere agito in piena correttezza, hanno un suono non limpidissimo, perchè la correttezza degli accessi alle banche dati presuppone che per ciascun accesso vi sia una ragione di approfondimento, di investigazione, che la giustifichi. E il fatto che uno di questi accertamenti abbia avuto per oggetto il neo ministro della difesa Crosetto e i compensi ricevuti da Leonardo SpA, e abbia preceduto solo di poche ore la divulgazione della notizia da parte di un quotidiano, rende difficile, in un mondo normale, credere che tutto abbia una spiegazione legittima, mentre la Procura di Perugia continua a indagare, evidentemente non trovando quella spiegazione legittima, e il suo procuratore capo, seguito a ruota dal procuratore nazionale antimafia, sollecitano audizioni al CSM e al Parlamento. Una cosa è chiara, a dispetto dei tentativi un po’ maldestri di qualche esponente politico di addossare allo schieramento politico avverso il ruolo di mandante di questo verminaio: non c’è la politica dietro questi dossieraggi. Forse è ora di chiedersi se il potere, in Italia, non sia gestito o condizionato da forze che, per comandare, non passano per le urne. E ripensando a quello che è accaduto 30 anni fa, nel 1992/1994, viene da dire che non è certo la prima volta che si sente l’odore di un deep power che decide, in modo opaco, il destino del nostro Paese.

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