Disperazione carceri ora l’Indulto

di Giada Fazzalari

C‘è una sola parola che descrive bene la condizione in cui versano le carceri italiane: disumanizzante. Detenuti accalcati in spazi angusti, in celle sovraffollate con finestre schermate che non consentono il passaggio di aria. In alcuni penitenziari italiani manca l’acqua per diverse ore. Il caldo infernale fa il resto. La vena si ingrossa e tra i detenuti cresce la disperazione. Violenta, incontenibile, logorante. Basterebbe la cronaca delle ultime settimane per avere una fotografia realistica di come, oggi, le carceri italiane siano al collasso. Risse, proteste, autolesionismo, tensione. Episodi che coinvolgono anche detenuti con problemi psichiatrici o minori. Tutti, nessuno escluso. I livelli di assistenza sanitaria sono quasi inesistenti, letti a tre piani che sfiorano il soffitto, claustrofobia che diventa incubo. Fino al suicidio, che ha portato a 57 il numero di detenuti che si sono tolti la vita nei primi sei mesi dell’anno. La condizione in cui versano le carceri non è affatto nuova. È nuova l’attenzione (quasi) bipartisan e la mediaticità degli ultimi tempi. Da trent’anni in Italia i diritti minimi di civiltà non sono garantiti appieno nelle carceri, eppure l’opinione pubblica è rimasta troppo distratta. I numeri del sovraffollamento ci riportano al 2013 e alla condanna da parte della Corte Europea dei diritti umani nel famoso caso Torreggiani. La risposta che il governo ha dato rispetto a questo tema è stata confusa, non incisiva, balbuziente. È stata incisiva nell’introduzione di 33 nuove fattispecie di reato: esattamente il contrario di ciò che servirebbe per risolvere il problema del sovraffollamento (sono più di 61 mila le persone detenute, a fronte di una capienza ufficiale che ne prevedrebbe almeno 15 o 20 mila di meno). Eppure, in situazioni di simile emergenza, si dovrebbero assumere posizioni radicali e risolute: serve, insomma, il coraggio di ricorrere all’indulto per risolvere il problema in una condizione di urgenza. Una proposta dei socialisti promossa attraverso il loro segretario Maraio, per sopperire all’inerzia istituzionale sul tema e che richiama un provvedimento che assunse Prodi nel 2006. Non si deve incorrere nell’errore di considerarlo un atto di indiscriminata clemenza o provvedimenti volti a far uscire in massa detenuti dal carcere. Non un “liberi tutti”, come molti potrebbero obiettare, ma provvedimenti che cancellino reati “minori”’ ancora da giudicare e anticipino l’uscita dal carcere dei condannati a fine pena: al 31 dicembre dello scorso anno erano 16mila i condannati a cui mancavano meno di due anni alla scarcerazione: “il necessario per tirare una linea e ricominciare daccapo”- ha fatto notare Giuliano Amato lo scorso giugno incontrando i detenuti di San Vittore a Milano. “Una provocazione, un fallimento”, si dirà. No. Un modo per restituire dignità a chi popola le carceri. Un provvedimento di buon senso. Sempre che il giorno dopo si assumano, immediatamente, provvedimenti urgenti, strutturali e definitivi per una emergenza che ci interessa tutti.

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