Del Turco, un uomo delle istituzioni, abbandonato dagli ‘amici’. Un socialista scomodo che si è battuto per i più deboli

di Alessandro Silvestri

Ottaviano del Turco è stato molte cose durante la sua lunga vita sindacale e politica, nella quale fu campione indiscusso di entrambe le specialità. Lo hanno salutato in molti, idealmente e fisicamente, il 25 agosto nella sua amata Collelongo, divenuta improvvisamente, un giorno lontano del 2008, anche la prigione degli ultimi anni durissimi della sua vita. Assenti ingiustificati, ma d’altra parte lo erano stati da quel terribile 14 luglio, i “compagni” della Cgil (a parte uno scarno comunicato di Landini) e quelli del Pd, partito che nonostante l’avversione di molti socialisti, testardamente e con l’ingenuità tipica dei generosi, si impegnò a far nascere. Bisognerebbe risalire ai reali fatti del 1992 per comprendere l’arcano, qualcuno prima o poi lo farà. Al lavoro giovanissimo, aveva preso la terza media alle scuole serali, poco prima di trasferirsi nella superba Roma del dopoguerra, il centro del mondo per tutti quelli che come a Del Turco, ardeva in petto il sacro fuoco della politica. Aveva cominciato come molti altri della sua generazione con la “giovanile” del partito della quale arrivò presto a dirigere la federazione provinciale romana. Erano gli anni ruggenti della “dolce vita” e dei primi centro-sinistra e i socialisti usciti un po’ malconci dalla subalternità comunista, riscoprivano la missione autonomista e sgomitavano anche nelle organizzazioni contigue alla politica, come il sindacato. Come la Cgil che i socialisti avevano fondato nel 1906, e che dopo il 1944 all’indomani del barbaro assassinio di Bruno Buozzi, subì una costante pressione dalla componente del Pci che ne assunse mano a mano il predominio, costringendo cattolici e laici a fondare Cisl e Uil nel 1950. Ma i socialisti non vollero mai abbandonare il sindacato che era nato sul modello della Cgt francese e del Ugt spagnolo, e da Di Vittorio in avanti, mantennero la rappresentanza socialista interna, con la carica del “segretario aggiunto” anche negli anni difficili del post-frontismo e delle invasioni sovietiche in Ungheria e Cecoslovacchia. Dopo le segreterie di Guglielmo Epifani e di Susanna Camusso, i socialisti sono praticamente spariti dai vertici della Cgil. Fondamentali per il giovane abruzzese arrivato nella capitale con sogni e speranze racchiusi nella proverbiale valigia di cartone, le frequentazioni della “componente” in corso d’Italia 25, diretta a lungo da Fernando Santi e presidiata negli anni ‘60 e ‘70 da personaggi come Cicchitto, Ceremigna e Marianetti suo predecessore alla co-segreteria. Ruolo che erediterà nel 1983, di fatto vice di Lama, Pizzinato e Trentin. Nel 1992 lasciò la Cgil per diventare per brevissimo tempo, segretario nazionale del Partito Socialista. Nel 1994 venne eletto alla Camera e dal 1996 al 2000 fu presidente della Commissione antimafia. Tra il 2000 e il 2001, durante il secondo governo Amato, fu ministro delle Finanze e nel 2004 fu eletto europarlamentare nelle liste dell’Ulivo. L’anno successivo si candidò alla presidenza della Regione Abruzzo, sostenuto dall’amico, corregionale ed ex leader Cisl, Franco Marini, che qualche mese dopo diverrà presidente del Senato, riuscendo a vincere contro il presidente uscente Pace. Fu anche senatore per due legislature, fino al 2004. Insomma una carriera invidiabile e costellata di allori, oltremodo difficilissima da mantenere per un socialista dopo la fine della cosiddetta Prima Repubblica. Un “underdog” vero incrociato con l’orso marsicano, un gladiatore sindacale e politico con la terza media alle serali, formatosi però alla preclara università della Fiom. Non fu tutto idilliaco fino al terribile luglio del 2008. Nel suo Psi negli anni di Craxi non sempre filava tutto liscio. Anzi col leader socialista non poche furono le frizioni, come quando nel 1987 denunciò al congresso di Rimini, in compagnia di una sparuta pattuglia di delegati, gli episodi di malversazione della politica, che avevano trovato spazio anche nel Psi. Peccato che in parecchi ignorassero quelle del Pci, che certo non poteva sostenersi con le salsicce alla griglia delle feste dell’Unità. Ma questa ormai è storia vecchia. Delle cose che si sono dette e non dette, non è affatto vero che fu l’ultimo segretario socialista. Il partito è sopravvissuto alle ferite mortali di “mani poco pulite” e opera e lotta ancora per la libertà, la giustizia, il superamento delle diseguaglianze e il progresso del Paese. Enzo Maraio, Segretario del Psi, tra i primi nel ricordare Del Turco, è stato chiaro: “La lunga malattia lo aveva privato da tempo di una vita dignitosa e le inchieste in cui era stato coinvolto, spesso fatte di accuse gravissime finite in assoluzioni, lo avevano provato al punto da aggravare le sue condizioni. Un dolore e una condizione che Ottaviano non era più riuscito a reggere. È stato suo malgrado al centro di un calvario giudiziario, una vicenda profondamente ingiusta per un uomo che si è battuto per le cause dei lavoratori, nel nome delle lotte per la giustizia sociale, che ha ricoperto con onore e competenza ruoli rilevanti per la vita pubblica del Paese. Il Psi, che Ottaviano ha guidato in un periodo delicato e difficile, è stata la sua vera casa politica. E mai, neppure nei momenti più burrascosi e più difficili, Ottaviano ha smesso di definirsi, di essere, un socialista. Probabilmente fu proprio questo uno dei suoi “problemi””. Anche Bobo Craxi ha scritto sui social queste parole durissime: “Ciò che non era affatto inaspettato è l’atteggiamento silente ai confini della codardia di coloro che dovevano a Del Turco un ringraziamento per ciò che aveva fatto in vita durante la sua parabola sindacale e politica. Una regola è stata vistosamente violata, Ottaviano non ha meritato, lui ex Ministro della Repubblica, alcun funerale di Stato, alcuna corona del Governo e men che meno delle due Camere parlamentari in cui ha seduto. E se, purtroppo, il Partito Socialista che ha guidato non ha più una sede prestigiosa per poter ospitare una camera ardente, al contrario la Confederazione Generale del Lavoro poteva e doveva aprire la sua sede, quella assaltata dai fascisti due anni fa nella quale egli ha lavorato diversi lustri rappresentandone il vertice”. Caro Ottaviano, facciamo nostre anche le parole di tuo figlio Guido, che ti è stato accanto in questi ultimi difficilissimi anni della tua vita “anche quando il mare è andato in burrasca”. Una devastante e ingiusta burrasca personale, politica, umana e familiare, dentro un’altra ancor più grande che dura da 32 anni per tutti noi. Che non ti dimenticheremo.

Ti potrebbero interessare

Divisioni

di Enzo Maraio La politica italiana delle ultime settimane è pervasa dalle divisioni. Se guardiamo

Leggi tutto »