di Luigi Iorio
Il carcere non fa opinione; affrontare le problematiche della detenzione non aumenta il consenso, anzi al contrario, sovente, sull’onda del populismo mette in discussione l’autorità dell’Esecutivo e così si evita di trovare soluzioni strutturali. Da sempre vi è una diffusa cultura “vendicativa” nei riguardi della persona che sconta una pena, che va oltre la mera privazione della libertà. Una doppia pena, di Stato e morale, che si ripropone continuamente, soprattutto attraverso il linguaggio utilizzato che non ha mai cessato di caratterizzare chi parla di carcere in discussioni emotive del tipo “buttate le chiavi”. Da anni noi socialisti, evidenziamo come il sistema carcerario nazionale non eserciti la funzione riabilitativa e di reinserimento, come previsto dalla Costituzione. A questo si aggiunge l’endemica emergenza carceraria: suicidi, sovraffollamento, epidemie e malattie infettive. Le vicende più recenti attorno al carcere e soprattutto alla sua rappresentazione mediatica inducono alcune amare riflessioni. Negli ultimi mesi la situazione carceraria è balzata nuovamente alle cronache: numero massimo di suicidi negli ultimi trent’ anni, sommosse, sovraffollamento fuori controllo. Il carcere è ormai l’angolo oscuro della nostra rappresentazione sociale: il luogo non visto e che si evita volutamente di vedere, posto come è al di là di mura simboliche e mentali. Così non dovrebbe essere perché in una collettività, ad un corpo sociale appartengono anche le parti più difficili, spesso malate e non si può avere alcun sano equilibrio senza considerarle come parti proprie. Pannella ricordava sempre di essere attenti al “sottoproletariato”, substrato dimenticato. Il sovraffollamento dunque torna ad essere una criticità mai sopita, vanificando gli strumenti che erano stati messi in campo dopo la dura sentenza della Corte di Strasburgo, che aveva individuato nelle condizioni di detenzione italiane la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sulla tutela dei diritti umani che vieta, oltre alla tortura, i trattamenti contrari al senso di umanità e alla dignità delle persone recluse. Quelle condizioni inumane che nuovamente continuano a persistere. Per dare risposte reali al fenomeno del sovraffollamento serve una vera riforma. Una riforma bipartisan che non veda come sempre, sul tema, una lotta tra opposizione e maggioranza, ma solo l’onestà intellettuale di risolvere l’annoso problema. Basta con “decretini” fine a sé stessi come da ultimo il cosiddetto “decreto Nordio”. Occorrono modifiche strutturali partendo dall’ampliamento dell’utilizzo delle misure alternative, da sempre viste come impropri benefici e, quindi, decisamente osteggiate da una impostazione culturale che “non vuole fare sconti”. Sono state inserite nella categoria del “buonismo” e non si è capito come esse siano invece strumenti non solo di compimento della finalità costituzionale della pena ma anche di rafforzamento della sicurezza collettiva, poiché accompagnano il graduale e monitorato ritorno alla vita esterna. Le misure alternative non sono scorciatoie di legalità bensì una detenzione diversa. Per questo è importante l’impegno dei giovani nella costruzione di una cultura del penale che sappia tenere conto della tradizione di garanzie del nostro Paese e dei valori che il Costituente ha sancito, anche indicando esplicitamente la funzione che ogni pena deve avere. Affinché l’Italia non venga identificata in tutta Europa come un esempio negativo in tema di condizione carceraria, così da evitare nuove sanzioni che necessariamente saranno pagate con denaro pubblico di tutti i cittadini, il Governo intervenga al più presto evitando tentennamenti. I socialisti, dalle pagine dell’Avanti! della domenica, hanno lanciato una proposta con il segretario Maraio, quella di un indulto, provvedimento previsto all’articolo 79 della nostra Costituzione. L’indulto nei confronti di detenuti che scontano pene residuali aiuterebbe ad una deflazione di quasi un terzo della popolazione carceraria. Un provvedimento d’urgenza per arginare una strage di Stato, ma che successivamente deve essere supportato da una vera riforma carceraria che garantisca nei prossimi decenni una situazione di ordinaria amministrazione.