di Giada Fazzalari
Distruzione, macerie, polvere che si fanno largo in uno scenario di morte e di silenzio surreale. Ecco cosa resta di Gaza. Ci vorranno 14 anni e oltre 40 miliardi per rimuovere una quantità colossale di macerie – 51 milioni di tonnellate – e dunque ricostruire un territorio che prima era senza uno Stato, e ora i palestinesi non hanno neanche una terra perchè non ci è rimasto praticamente più nulla, neppure quei punti di riferimento che sono stati annientati dalle bombe israeliane. E così, dopo quindici mesi di invasione e cinquanta mila morti civili, trecentomila profughi marciano verso nord. Un muro umano, a cui, come previsto dall’accordo di Doha, è finalmente permesso di attraversare il corridoio Netzarim che taglia in due la striscia di Gaza. Lo chiamano il giorno della vittoria, ma è impressionante vedere quanta miseria, fragilità e disperazione si avverte guardando i volti nascosti in quel lungo corridoio ripreso dai droni. Gli sfollati sono 1,9 milioni su 2,3 milioni di abitanti. Ma attenzione, la tregua è fragile e può rompersi. E non è, per ora, il presupposto per una pace duratura. Gli Usa hanno avuto un ruolo decisivo e lo avranno nei prossimi mesi: la dichiarazione di Trump, che vorrebbe spostare (deportare?) un milione di gazawi in Giordania e in Egitto per tutto il periodo della ricostruzione e oltre, ha tutt’altro che il sapore di una boutade. Ha usato un termine preciso: <<ripulire>> l’intera area dai palestinesi. Una frase che ha messo a repentaglio la tregua e che non fa ben sperare per i prossimi passaggi. Si può dire che la guerra è sospesa ma non ancora finita. E una pace duratura si avrà soltanto quando i palestinesi potranno finalmente avere un loro Stato.