Con la Siria un nuovo tassello nel Medio Oriente destabilizzato

di Andrea Follini

Damasco è a tre ore di volo da Roma. Ciò che sembra succedere molto distante da noi, in realtà accade più vicino di quanto immaginiamo. E così non può lasciarci indifferenti che, dopo cinquant’anni di regime “familiare” degli Assad, oggi la Siria sia in mano agli insorti jihaidisti, abilmente supportati dalla Turchia. Il dittatore siriano Bashar al-Assad, che ha governato il Paese sulle orme del padre Hafez al-Assad, dopo anni di violenze, torture, violazione di ogni diritto umano, impoverimento del proprio popolo ed ogni altro genere di nefandezze, ha ora trovato riparo sotto l’ala protettiva di Putin; a Mosca la Russia ha concesso l’asilo politico a lui ad alla sua famiglia. Quanto successo in Siria, nell’arco di pochissimo tempo, ha acceso un ulteriore motivo di attenzione da parte dei Paesi occidentali per quanto sta succedendo in Medio Oriente, area del mondo nella quale da quasi due anni si sta assistendo a continue trasformazioni. Se poi pensiamo che in quest’ultimo frangente, vi è un diretto coinvolgimento del governo di Ankara, comprendiamo quanto ciò che sta succedendo entri sempre più in una possibile dimensione europea. E invece di Unione europea non si sente parlare, se non per ribadire che il partito dei ribelli siriani è ritenuto una organizzazione terroristica. Il fatto che l’Unione non si esprima, non è un bene; come già avvenuto per Gaza, una Ue silente significa che non ha colto appieno la necessità di assumere un ruolo di guida, di coordinamento rispetto a quanto avviene alle sue porte. Ed in una prospettiva quale quella americana della prossima era Trump, è una disattenzione che non ci si può più permettere. Siria, Libano Israele, Palestina. Con dentro un mix di Iran, Russia, Turchia: una miscela potenzialmente esplosiva che va depotenziata. Quale futuro si prepara per questo quadrante di mondo? Per il popolo siriano, l’alba di un orizzonte democratico o un semplice cambio di dittatura? Abu Mohammed al-Jolani, leader del gruppo islamista siriano Hayat Tahrir al-Sham, definisce la caduta di Assad come una vittoria della nazione islamica e si è affrettato a nominare un nuovo premier nella figura di Muhammad al-Bashir, posto a capo del “Governo della Salvezza”. Gli fa coro il presidente americano Biden che valuta quanto successo come una opportunità storica per il popolo siriano. Da Ankara arrivano segnali di speranza per il popolo siriano sotto la guida del nuovo governo, ma poco si sa ad esempio del destino della popolazione curda, da sempre invece nel mirino turco, che nella Siria di Assad trovava riparo. Nella guerra senza fine tra Esercito Libero Siriano sostenuto da Ankara e le milizie curde dell’organizzazione separatista Ypg, continuano a morire civili: un altro fronte in questa parte di mondo dove l’occidente preferisce non guardare. Anche Israele esce rafforzata dagli eventi siriani. Sicuramente, almeno per il momento, un nemico in meno dal quale guardarsi. Ed infatti non sono mancate le incursioni dell’Idf in territorio siriano; violando gli accordi del 1974, le truppe di Tel Aviv hanno occupato il versante siriano del monte Hermon e parte delle alture del Golan, strategiche proprio perché a cavallo tra il nord di Israele, la Siria ed il Libano. La stampa israeliana riporta la dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu secondo il quale l’occupazione della “zona cuscinetto” sul Golan è una misura “temporanea difensiva”, che sarà mantenuta “finché non sarà trovato un accordo adeguato”. Una dichiarazione che dice tutto e niente, specie in merito all’eventuale durata dell’occupazione.

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