CO-STRETTO

di Giada Fazzalari

Il momento, per il capo della Lega, non è dei migliori. Salvini, reduce dalla batosta delle regionali e da una serie di stop e retromarce – quota 100, autonomia differenziata, legge Fornero – ora è costretto a tirare il freno sulla madre di tutte le promesse e di tutte le opere: il Ponte sullo Stretto di Messina. Solo poco meno di un anno fa, nelle aule parlamentari e nella loro depandance più ambita da qualsiasi politico, gli studi di Porta a Porta, il leader del Carroccio annunciava, di fronte ad uno scintillante plastico, tempi esemplari: la posa della prima pietra sarebbe coincisa con le elezioni Europee, si diceva. Su questa partita, insomma, Salvini ha agganciato il suo futuro politico, puntando, con un po’ di incoscienza, tutte le sue (ultime) fiches. Con il risultato di aver espresso una promessa tanto ambiziosa, quanto politicamente pericolosa, se non dovesse vedere la luce. Chiariamoci: Bettino Craxi, già 40 anni fa, aveva siglato la convenzione per la realizzazione del Ponte, definendo l’opera ‘avveniristica’ per il Mezzogiorno d’Italia e per l’intero Paese. Non aveva torto. Da allora, il Ponte è rimasto un progetto sulla carta, fino a essere classificato, negli anni, come una sorta di chimera italica, tra le opere ingegneristiche di più difficile realizzazione, diventato oggetto di scontro politico, una bandiera da sventolare sul fronte del progresso e della modernizzazione del Paese da un lato, o dello strenuo massimalismo ecologico dall’altro. Certo è che la straordinaria accelerazione impressa ai vari passaggi (e le conseguenti raccomandazioni del comitato tecnico scientifico che hanno di fatto cancellato le più rosee previsioni di Salvini, costringendolo a rimandare l’avvio dell’apertura del cantiere) è sintomo di un certo nervosismo e di una certa voglia di fare bottino elettorale, tanto da spingerlo a costruire buona parte della sua strategia politica proprio sul Ponte: una strategia semplice, si dirà. E anche qui, niente da fare: al Sud, la troppa fretta fa preoccupare anche i più attenti sostenitori della realizzazione dell’opera, che al Ministro chiedono certezze. E dall’altra parte, le fibrillazioni nella Lega (ex nord, ma ancora nord) dove il malessere dei ribelli cova soprattutto fra la Lombardia e il Veneto, non sono più contenute nelle segrete stanze ma diventano motivo di rivendicazione di militanti e politici della prim’ora delle valli padane, dove rivogliono una Lega che sia il sindacato del Nord. E dove non hanno mai accettato l’idea di un movimento sacrificato sull’altare della scommessa di un’opera cara (ma quanto davvero?) al Sud d’Italia, e rinunciando all’identità. Ecco quindi il nostro, costretto a navigare nelle acque turbolente da lui stesso agitate, tra il Ponte ed il consenso, tra la malcelata sopportazione interna al partito e l’accusa di pensare ormai solo a quest’opera. Che potrebbe diventare, da grande occasione di rinascita e di sviluppo per il Sud, a grande incompiuta. Ma anche da partita nella quale giocarsi il tutto per tutto e vincere, a gigantesco boomerang.

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