di Nautilus
Sabato 10 agosto metà degli italiani che guardavano la tv, avevano scelto di vedere la finale olimpica della pallavolo femminile. Uno share strepitoso e gli artefici di cotanto record sono stati ripagati, come è noto, dalla vittoria delle ragazze. Ne è seguito un sacrosanto elogio delle pallavoliste e un peana per il loro allenatore Josè Velasco. I media lo hanno esaltato in quanto vincente ma limitandosi a descrivere come semplice curiosità la sua “filosofia di vita”. Ma non l’hanno approfondita, perché farlo avrebbe significato, mettere in chiaro che quella filosofia è quanto di più lontano ci sia dallo “spirito” dei media ma anche di gran parte dei nostri politici. Velasco lo aveva spiegato poco prima della finalissima: “Il giornalismo deve smettere di parlare dell’oro che manca. In Italia si vede sempre quello che non va: godiamoci quello che abbiamo”. Negli anni scorsi e più di recente Velasco ha spiegato ripetutamente la sua concezione della vita: ognuno è artefice del proprio destino. Nelle contese sportive (ma pure in quelle politiche, aggiungiamo noi) si può vincere e si può perdere ma se si vuole prevalere ci si deve preparare, si deve puntare ad essere i migliori in campo o, negli argomenti politici. Senza cercare alibi. L’arbitro, la Federazione. il fascista. E se si perde? Non si drammatizza, perché la nostra sconfitta significa che l’altro è stato più “bravo”. Per Velasco vale quella che Max Weber chiamava l’etica della responsabilità: una grande sconosciuta nel nostro Paese, in particolare di questi tempi. Questa è la filosofia di Velasco e i media hanno fatto finta di niente, perché a pelle avvertono che quella concezione è quanto di più lontano ci sia dalla prassi quotidiana del sistema politico-mediatico. Ma chi ha una concezione sana della politica e dello sport, intesa come competizione tra chi porta gli “argomenti” migliori, non può non esprimere un auspicio virtuale: che bello sarebbe se, per un periodo limitato, Velasco diventasse direttore di un grande giornale e applicasse il suo rigore e il suo senso dell’umanità; che bello sarebbe se Velasco, per un periodo limitato, assumesse la guida di un movimento politico e applicasse la sua “linea” a leader e partiti che si legittimano, delegittimando gli avversari. Perché, sia chiaro, Velasco non è un teorico della “bella sconfitta”, ma semmai della vittoria piena, per manifesta superiorità. Viva Velasco!