di Giada Fazzalari
Credere che la libertà sia un bene non negoziabile, una condizione irrinunciabile per chiunque, con l’unico limite della tutela della libertà altrui. Credere che la fraternità e la solidarietà siano un dovere morale mediante il quale portare avanti quelli nati e rimasti indietro, perché nessuno può essere lasciato indietro. E credere che l’eguaglianza sia il presupposto di tutte le libertà, civili e sociali: se non si afferma che tutti sono stati creati uguali, si accetta un mondo in cui l’esistenza di qualsiasi persona può essere sacrificata all’interesse di qualcun altro, come purtroppo accade. Libertà, Fraternità, Eguaglianza. Credere in questo significa essere socialisti: oggi, due secoli fa, e 132 anni fa, quando a ferragosto del 1892, a Genova, nacque il Partito Socialista Italiano. In queste parole c’è la sintesi della fede di Turati, il padre del socialismo democratico e riformista in Italia. Di Anna Kuliscioff, madre del socialismo italiano, la dottora dei poveri, dal temperamento simile a un “pugno di ferro in un guanto di velluto”. Di Giacomo Matteotti, il riformista intransigente, martire della libertà. Di Pietro Nenni, padre della Repubblica, indiscusso protagonista del socialismo italiano e del nostro giornale. Di Saragat, il combattente di Spagna e della Resistenza, che per primo aveva capito nel ‘45 che comunismo e libertà erano inconciliabili; di Sandro Pertini, difensore del valore della giustizia sociale, il socialista la cui fede politica era persino più importante della sua stessa vita; di Lelio Basso, che seppe mettere il socialismo nella Costituzione, scrivendone l’articolo 3. E infine di Craxi, che ha portato l’Italia in vetta al mondo senza sacrificare un grammo di libertà, e ha sacrificato se stesso per non rinnegare quella libertà. Non c’è una sola riforma di civiltà, in tutto il secolo scorso, che porti la firma di un socialista o per la quale un socialista non si sia battuto o non abbia speso tutta la propria vita: le otto ore lavorative, lo statuto dei lavoratori, il divorzio, i diritti sociali e civili che hanno reso il Paese più moderno. E non è un caso se, da quando il Psi, indebolito all’indomani di Tangentopoli, ha smesso di essere protagonista della vita politica del Paese, le diseguaglianze sociali siano aumentate. E oggi? E domani? I Turati, i Matteotti, i Craxi di domani sono già tra noi, perché finché ci sarà anche un solo oppresso, un solo diseredato, un solo discriminato, al suo fianco ci sarà un socialista. Buon compleanno, PSI. E ad ogni militante che ancora oggi crede che solo un mondo in cui esiste il socialismo democratico e riformista, può essere un mondo davvero più giusto, libero e civile.