di Carlo Pecoraro
Il partito Vannacci è già a quota 4 per cento. La stima è del sondaggista Alessandro Amadori che piazza l’asticella del generale a un milione e mezzo di voti. Che sarebbero quelli dell’estrema destra che si riconoscono nei valori affermati nel libro “Il mondo al contrario”, pubblicato dall’ex capo dei parà della Folgore e che ha scatenato una polemica mediatica tanto forte, da aprire una falla nel centrodestra. Certo non è tanto, ma il 4% è un punto di partenza che mette in evidenza due cose. La prima, l’evidente malcontento di una fetta di elettorato della Meloni, che si attendeva dalla premier politiche più radicali e una maggiore distanza da Washington. La seconda, è la necessità degli alleati di recuperare consensi. Una necessità, questa, che alimenta giorno dopo giorno una continua campagna elettorale fatta di promesse alle famiglie, spallate e di ricatti all’Esecutivo. Il libro del generale Roberto Vannacci, il cui nome fino all’altro giorno era noto solo agli addetti ai lavori, non lascia spazio all’immaginazione: spunti omofobici e pregiudizi razziali. Insomma la solita insalata di parole che affascina tanto il popolo dell’estrema destra. Ma la domanda è un’altra: perché questo libro e perché farlo uscire ora? Bene, l’Esecutivo è a un punto di svolta. La manovra finanziaria che ci si prepara a varare è il nodo centrale attorno al quale si giocano i destini di questo Governo. Una manovra delicatissima, attraverso la quale ognuno degli alleati vuole capitalizzare consenso. Da Forza Italia, che promette pensioni più alte, alla Lega, che vuole mantenere il taglio al cuneo fiscale. Misure promesse senza fare i conti con le risorse. Tanto che il ministro Giorgetti ha già messo le mani avanti: “Sarà una manovra complicata” e “non si potrà fare tutto”. Insomma la coperta è corta. Un avviso lanciato agli alleati di Governo. Un avviso evidentemente poco gradito. Ed ecco allora la spallata: un libro – addirittura autoprodotto – e la conseguente misura di sospendere il generale dall’incarico di guida dell’Istituto Geografico Militare presa dal Ministro della Difesa Crosetto. Un atto dovuto che è diventato un atto politico. La decisione del Ministro, infatti, ha immediatamente diviso il centrodestra e anche all’interno di Fratelli d’Italia, sono usciti allo scoperto i dissidenti. A iniziare proprio da quel Giovanni Donzelli, deputato di FdI, responsabile dell’organizzazione del partito e uomo tra i più vicini a Giorgia Meloni. Bene, il vispo Donzelli, quello sempre pronto a difendere i “cattivi camerati”, ha preso subito le difese del militare spiegando che non è compito né della politica né del Governo, decidere della “bontà delle idee” altrimenti “sarebbe la fine della democrazia”. Donzelli per conto di chi parla? E’ ancora il fedelissimo uomo di Giorgia o il Bruto che la colpirà alle spalle? Chissà. Certo è che questa è l’ennesima ambiguità della quale la Premier si è servita in questi mesi di governo, consentendole di non uscire mai allo scoperto – come in questo caso – su questioni di principio. Servendosi dei suoi sherpa per testare l’umore dell’elettorato e capire come e quando affondare i suoi colpi. Di diversa natura è invece la posizione di Gianni Alemanno. L’ex sindaco di Roma, infatti, ha condannato la scelta di Crosetto, reo di essere stato “politicamente corretto”; e contestualmente ha anche aggiunto di essere “pronto a costruire l’alternativa”. Ed è questa la chiave di volta, che qualcuno ha già ribattezzato il “golpe d’agosto”: la manovra sovranista di erodere voti al fortino di Fratelli d’Italia e che tenderebbe a destabilizzare il Governo con la benedizione della Lega di Matteo Salvini. Quest’ultimo saltato immediatamente sul carro (armato) del generale Vannacci, che Giornale d’Italia ha rivelato di essersi incontrato con il leader della Lega e di non rivelare “nemmeno sotto tortura” il contenuto della conversazione. Solo una battuta di spirito?