Balneari: il Governo è ancora in alto mare

di Redazione

Sarà perché questa estate che volge al termine ci ha visti alle prese con i prezzi tutti in salita, sarà perché i redditi, quelli si, sono rimasti sempre gli stessi, ma comincia davvero a pesare l’affare concessioni balneari, che da sempre ha interessato le nostre coste. Siamo un Paese di mare ed il turismo balenare è certamente in cima agli interessi dei vacanzieri, eppure il mare è spesso inaccessibile, chiuso, sbarrato dai potenti concessionari che da decenni detengono il monopolio sui nostri litorali. Alcuni casi in Italia sono clamorosi, come il litorale di Ostia, sbarrato dal “lungomuro” che il sindaco Gualtieri ha promesso di abbattere entro il 2026, oppure il mare invisibile di Sabaudia, che per lunghi tratti è a disposizione esclusiva dei proprietari delle ville che vi si affacciano, per finire a Napoli, dove quest’anno è scattata la protesta più forte: le pochissime spiagge libere sono a numero chiuso, su prenotazione, con accessi vigilati dai gestori dei lidi confinanti. In questo contesto spiccano i canoni irrisori versati dai concessionari, su cui pesano anche, si fa per dire, le addizionali regionali. Si tratta dell’unico caso in cui le stesse associazioni di categoria ammettono che i propri iscritti pagano troppo poco! A fronte di canoni ed addizionali irrisorie ed immutate da tempo, i prezzi dei servizi erogati sono invece schizzati verso l’alto, spesso improponibili, con la conseguenza che a molte famiglie non resta che optare per spiagge libere più lontane da casa. Lo spettro della necessaria legge che ancora non c’è, dopo rinvii su rinvii, diretta conseguenza della direttiva europea nota come Bolkestein, aleggia sui titolari delle concessioni balneari: essa pretenderà la messa a gara degli spazi litorali, aprendo una competizione concorrenziale a livello europeo. Un passo è stato fatto con la Legge annuale sulla Concorrenza del 5 agosto 2022 n. 118, che richiama all’obbligo di indire le gare, a partire dal primo gennaio 2023, come stabilito in ultimo dalla nota sentenza del Consiglio di Stato del 2021.
Ma non solo: la stessa legge, all’articolo 4 comma 2 lettera ‘a’ dispone di assicurare “l’adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate” senza specificare percentuali, ed inoltre ricorda la necessità di prevedere “la costante presenza di varchi per il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione, con la previsione, in caso di ostacoli da parte del titolare della concessione al libero e gratuito accesso e transito alla battigia, delle conseguenze delle relative violazioni”. Nella Regione Lazio, più volte richiamata nelle discussioni sul tema, il piano delle spiagge approvato prevede che i comuni riservino “alla pubblica fruizione una quota pari ad almeno il 50 per cento dei metri lineari dell’arenile di propria competenza per il cui calcolo si fa riferimento alla linea di costa bassa”, ma non viene precisato nulla sulla scelta delle aree che potrebbero così essere poste in zone di minor pregio, meno accessibili e lontane dai centri abitati.
Nonostante la copiosa giurisprudenza e le norme tutte rivolte ad avviare un vero riordino nelle nostre spiagge, i titolari delle concessioni balneari non si arrendono, ed hanno proposto addirittura un ricorso in Cassazione contro il Consiglio di Stato, la cui prima udienza è attesa per il prossimo 24 ottobre, ricorso contro la sentenza del novembre 2021 che aveva annullato la proroga di tutte le concessioni al 2033. Nel frattempo il Governo ha convocato il tavolo, coordinato dal Ministero delle Infrastrutture, per definire una mappatura delle aree demaniali, calcolando
la quantità di spiagge già in concessione e quelle libere e concedibili, tentando in questo modo di dare respiro ai concessionari definendo una maggiore disponibilità di aree. E’ il cosiddetto criterio della “mancanza di scarsità”. Tale mappatura, che il Governo si era impegnato a definire entro settembre, è ancora, ironia della sorte, in alto mare. Al tavolo, che fin’ora si è riunito tre volte, siedono i rappresentanti dei ministeri, un rappresentante per ogni ente territoriale competente, ma spicca l’assenza delle associazioni ambientaliste, e soprattutto dei rappresentanti dei cittadini consumatori. Il tentativo di mantenere il più possibile lo status quo, appare evidente. E’ comprensibile lo stato d’animo degli imprenditori che tanti investimenti hanno realizzato, contando su un orizzonte temporale di gestione illimitata, visto che le concessioni sono state sempre prorogate di decennio in decennio. E’ pur vero che gli stabilimenti balneari creano occupazione e sono l’ossatura del nostro turismo balneare, come è vero che in tanti preferiscono la tranquillità ed i servizi degli stabilimenti organizzati, rispetto alla spiaggia libera. Nessuno pretende infatti di cancellare una importante tradizione di ospitalità, però è altrettanto vero che lo squilibrio fra interessi privati ed interesse pubblico si mostra in maniera sfacciatamente pendente verso l’impresa privata che fino ad oggi non ha mai trovato ostacoli. L’impresa privata ha costruito opere permanenti, spianato dune, allargato i propri interessi fino ad utilizzare gli stabilimenti tutto l’anno, da location per matrimoni fino alle discoteche all’aperto, sfruttando una risorsa naturale dalla bellezza irripetibile. D’inverno ormai in pochi smontano le strutture; spesso si chiudono gli spazi con cancelli e si sbarrano gli accessi. Questo non dovrà più succedere. Bisogna salvaguardare la possibilità di accedere liberamente al mare, d’estate e d’inverno. Bisogna creare equilibrio fra spiagge in concessione e litorale libero, ma tenendo ben presente il concetto di eguale dignità. Infine bisogna adeguare i canoni, il cui valore è decisamente inferiore se comparato a qualsiasi fitto aziendale.

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