Anche la sanità lombarda ha bisogno di cure

di Silvia Carbone

L’ultimo drammatico incidente nell’ospedale di Tivoli richiama all’attenzione la complessità e i costi di gestione di una struttura ospedaliera. Sono in corso indagini circa le relative responsabilità ma certo è che un ospedale è come un organismo vivente: la gestione implica riammodernamenti costanti, richiede manutenzioni ordinarie e straordinarie e “vorrebbe” l’umanizzazione di tali spazi perché “luogo di cura e di speranze”: in buona sostanza, necessita di adeguati finanziamenti regionali. In tema di prevenzione incendi, l’adeguamento delle strutture e dell’impiantistica è fondamentale per tutti gli ospedali. L’attuale governo della destra sostiene di avere investito cifre importanti per la sanità e al contempo Regione Lombardia, con l’approvazione dell’ultima legge di riforma della sanità lombarda, di fatto, ha suggellato l’aver posto sullo stesso piano sanità pubblica e privata. La Lombardia avrebbe delle eccellenze e nonostante tutto e le interminabili liste di attesa, la gente giunge da tutta Italia per curarsi, da troppo tempo. Qualcosa però non ha funzionato e lo hanno dimostrato i numeri dei decessi per Covid e la situazione è via via sempre più allarmante. È un dato di fatto che il privato si concentra sulla malattia, la prevenzione non interessa; anzi “sceglie” la branca specialistica su cui concentrarsi, investendo sulle remunerative patologie croniche, sulla cardiologia, sulla chirurgia, ma non investe sui dipartimenti di emergenza, sui pronto soccorso. Il sistema pubblico, lavorando più sulla prevenzione, come dovrebbe fare, può tendere a ridurre la spesa pubblica. Non mettendo il servizio pubblico in grado di concorrere con quello privato, non c’è vera equivalenza tra gli stessi, anzi, con il progressivo taglio dei fondi ci si allontana sempre più da questo concetto. Il nodo è totalmente politico sia a livello globale che locale: abbiamo bisogno di più fondi ma allocati in modo diverso. I comuni e gli enti locali non hanno fatto abbastanza per combattere questa deriva e non possono trincerarsi dietro il fatto che la sanità è di competenza regionale. A Milano la regione ha suddiviso il territorio in distretti: la suddivisione è stata puramente numerica e non è stata condotta una valutazione dei bisogni epidemiologici, una adeguata programmazione socio-sanitaria territoriale. Il metodo utilizzato è stato burocratico e casuale: un distretto a ciascun municipio e poi “si posizionano qua e là” Case della Comunità. Purtroppo il Comune di Milano ha ratificato questa programmazione senza la richiesta di modifiche, di revisioni e i rappresentanti dei municipi non sono stati interpellati. Dobbiamo cambiare il colore della nostra regione: se continuiamo nel solco degli ultimi trent’anni non cambierà nulla arrivando a forme di forte discriminazione sociale per cui la salute sarà legata al CAP di residenza.

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