A Gaza non c’è più scampo, è catastrofe umanitaria

di Vittorio R

Disperata. Catastrofica. Infernale. Queste sono solo alcune delle parole che le organizzazioni umanitarie hanno usato per descrivere la situazione che ogni giorno oltre due milioni di civili vivono a Gaza. Di ora in ora la vita quotidiana di donne, uomini, bambini peggiora. Se non bastassero i bombardamenti incessanti, l’obbligo di lasciare le proprie case e la ricerca disperata di acqua, cibo e cure mediche, ora sono arrivati anche il freddo e la pioggia. Immaginate una situazione dove avete addosso solamente i vestiti che indossavate quando avete dovuto lasciare la vostra abitazione. Vi trovate in mezzo alla strada, senza nulla. Vi considerate fortunati perchè siete ancora vivi. Ma dovete trovare un modo per sfamare i vostri figli. O magari dovete trovare l’insulina per vostra sorella diabetica. O ancora, avete bisogno di un riparo e di coperte per affrontare una notte che si fa sempre più gelida. E non è finita, perché vi trovate in un piccolo lembo di terra, uno dei più densamente popolati al mondo, dove non c’è un posto sicuro dove stare e non c’è nemmeno la possibilità di scappare. Ecco, questo è solo un decimo di quanto i palestinesi di Gaza devono vivere quotidianamente. Secondo gli ultimi aggiornamenti delle Nazioni Unite, tra il 7 ottobre e il 14 dicembre 18.787 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza. Il 70% circa sono donne e bambini. Oltre 50mila sono i feriti ed è incalcolabile il numero delle persone scomparse, esseri umani sotto le macerie, che hanno aspettato soccorsi che non sono mai riusciti ad arrivare. I volontari della Mezzaluna Rossa Palestinese sono in prima fila nei soccorsi, ma hanno già dovuto lasciare un ospedale, Al Quds a Gaza City, dopo aver vissuto un assedio di otto giorni, la mancanza di medicinali, acqua e cibo. E ora fanno del loro meglio nell’ospedale Al-Amal a Khan Younis, con capacità limitate e in mezzo a nuovi bombardamenti. Il sistema sanitario è sostanzialmente collassato. Nonostante tutto, le ambulanze della Mezzaluna Rossa, come i posti di medici di emergenza, continuano a operare a rischio della vità degli operatori. Uscire in ambulanza per soccorrere i feriti significa mettere a rischio la propria vita. A Gaza si spara sulla Croce Rossa, come sulle Nazioni Unite. Sul fronte egiziano, gli aiuti continuano a entrare col contagocce. Nonostante lo sforzo logistico della Mezzaluna Rossa Egiziana, ci sono giorni in cui entrano cinquanta camion, in altri si arriva a cento. L’imprevidibilità mette a serio rischio la programmazione dell’intervento umanitario, mentre i numeri sono sempre bassi in confronto agli immensi bisogni umanitari. “Prima del conflitto entravano più di 500 camion al giorno – ci spiega un operatore umanitario – più il conflitto va avanti, più i bisogni aumentano. Senza un accesso continuo di aiuti, non riusciamo e non riusciremo a dare una risposta dignitosa ai palestinesi che letteralmente hanno bisogno di tutto”. I civili non sanno più cosa fare. Molti sono sfollati due, tre, quattro volte. Prima hanno dovuto lasciare in maniera forzata le proprie case al nord. Poi hanno cercato riparo nelle scuole delle Nazioni Unite che sono diventate un obiettivo. Poi sono andati nella zona di Khan Younis, verso il sud, e ora le forze armate israeliane li stanno spingendo verso Rafah, il confine con l’Egitto. Mentre il diritto internazionale umanitario dice chiaramente che i civili devono poter scegliere liberamente di muoversi o di rimanere e comunque devono essere sempre rispettati e protetti, la situazione sul terreno dice altro. Nella vita dei palestinesi si sta materializzando un’altra “nakba”, “catastrofe” in arabo, termine usato per raccontare l’evento più drammatico per il popolo palestinese: la guerra del 1948 quando circa 700 mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie città, i propri villaggi, la propria terra, diventando profughi. Dopo 75 anni, la paura dei palestinesi è di essere un’altra volta cacciati, senza poter ritornare nelle proprie case e finire in un nuovo campo profughi, questa volta nel deserto egiziano del Sinai. Davanti a una catastrofe umanitaria che peggioria di ora in ora e che tutti noi possiamo vedere nei canali televisivi 24 ore su 24 e sui social media, i grandi assenti sono il multilateralismo e l’Europa. In un consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite svuotato ormai di significato, il veto statunitense porta ancora alla mancata richiesta di un cessate il fuoco umanitario. Non è bastata la richiesta del segretario generale Guterres che ha usato l’articolo 99 della carta delle Nazioni Unite, ovvero forse lo strumento diplomatico più forte che ha nelle sue mani. Questa è l’undicesima volta nella storia delle Nazioni Unite che è stato usato e serve per sottolineare questioni che possano minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Nel suo discorso Guterres ha detto chiaramente: “Siamo a un punto di rottura. C’è un alto rischio di collasso totale del sistema di supporto umanitario a Gaza, che avrebbe conseguenze devastanti. Prevediamo che ciò si tradurrà in una completa rottura dell’ordine pubblico e in un aumento della pressione per lo spostamento di massa in Egitto. Temo che le conseguenze potrebbero essere devastanti per la sicurezza dell’intera regione”. Non è bastata l’ennesima risoluzione votata a larga maggioranza dall’assemblea generale dell’ONU per chiedere un immediato cessate il fuoco. 153 voti favoreli, 23 astensioni, tra cui l’Italia, e 10 contrari, ovviamente capitanati da Stati Uniti e Israele. “La comunità internazionale ci ha abbandonato per l’ennesima volta”, ci ha detto sconsolato un contatto palestinese. Proviamo a fare uno sforzo di immaginazione. C’è una forza occcupante e un popolo occupato. La forza occupante non rispetta le regole internazionali e i civili sono affamati e senza cure. Il popolo occupato chiede aiuto al resto del mondo. In un caso, il mondo occidentale e l’Unione Europea sono compatti nel condannare senza se e senza ma, supportando militarmente il popolo occupato, approvando sanzioni contro l’occupante, aiutando correttamente i profughi. In un altro, il mondo occidentale e soprattutto l’Unione Europea che potrebbe avere un ruolo centrale nel Mar Mediterraneo, sta in silenzio e guarda il massacro di civili. Nel mezzo, le istituzioni multilaterali non hanno strumenti per intervenire. Il dialogo non c’è. E una grande maggioranza del mondo perde sempre più fiducia nell’occidente, nel multilateralismo e ovviamente nell’Europa. Dopo quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza, come faranno gli europei e gli americani a condannare Putin? O come faranno a dare lezioni di morale in Sudan o nei tanti, troppi, conflitti dimenticati? Serve una soluzione politica e non militare al conflitto israelo-palestinese. Ora, più che mai.

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