Il nostro Avanti! Da 127 anni la voce socialista nel Paese

di Alberto Benzoni

Quando, l’anno scorso, abbiamo celebrato il centotrentesimo anno della nostra fondazione, si è avviato un processo destinato ad andare lontano, magari anche oltre le nostre aspettative. In questa storia ha, fin dall’inizio, una parte molto importante il nostro giornale. A dimostrarlo il fatto che, a dirigerlo, saranno i leader più prestigiosi: da Bissolati a Ferri; da Treves a Serrati, a Nenni (per Turati sarà Critica Sociale). Mentre lo stesso Nenni quando, nella seconda metà degli anni cinquanta, deciderà di rievocare il passato del partito, non ricorrerà ad alcuno “storico ufficiale” ma affiderà questo compito a Gaetano Arfè e alla sua “Storia dell’Avanti”. Una persona e un tema azzeccati in tutti i sensi. “L’Avanti; il nostro Avanti”. C’è, in questo senso di appartenenza, una grande affettività. Quella che porterà, nell’autunno del 1914, a decretare l’espulsione per indegnità di Mussolini, reo di avere creato un suo giornale per sostenere l’entrata in guerra dell’Italia. E, verso la fine del 1919, a raccogliere rapidamente i fondi per la ricostruzione e l’ammodernamento della sede distrutta dai fascisti. E, infine, poco meno di tre anni dopo, Pietro Nenni ad entrare all’Avanti e nel partito socialista, dopo essere stato testimone impotente della definitiva distruzione di questa stessa sede. Due distruzioni. All’inizio e verso la fine dello squadrismo. Una violenza che si accanisce contro le nostre istituzioni – il giornale, i municipi, le cooperative, le leghe, le camere del lavoro, e le persone stesse che le rappresentano – e non contro le nostre sedi. E non perché il partito e i suoi dirigenti non fossero importanti. Perché lo erano eccome. Ma perché era un certo tipo di partito; e un modello che, dopo oltre cent’anni di “partitocrazia”, potrebbe tornare di attualità. Stiamo parlando di un partito “al servizio”; del mondo del lavoro e delle sue pressanti richieste. Senza però pretendere di guidarlo dall’alto, forzando e anticipando il corso della storia, così da arrivare al socialismo prima che siano maturate le condizioni oggettive per questo salto di qualità. Il tutto in un’ottica in cui il socialismo stesso non “avviene”, non può avvenire grazie ad un’azione esterna di “professionisti della rivoluzione”; ma piuttosto “diviene”, irresistibilmente, ogni giorno che passa, attraverso la nascita delle sue istituzioni collettive, la crescita costante della sua forza e dei suoi diritti e la maturità consapevole dei suoi innumerevoli protagonisti. Un mondo, una storia, che saranno difese magistralmente da Turati, ma anche da Serrati al congresso di Livorno, nel confronto con i comunisti che pretendevano di farne tabula rasa, in nome di una rivoluzione di cui non esistevano né sarebbero mai esistite le condizioni. Ma questa, per noi, è una partita chiusa. E definitivamente vinta. E al punto tale di vedere la scomparsa del nostro avversario. E non per diventare socialista; ma tutto il resto. Leggi, nulla. Rimane, però, aperta l’altra. Quella nei confronti del potere esistente. L’Internazionale socialista e noi stessi siamo stati sempre consapevoli della sua irredimibile ostilità a tutto ciò che eravamo e rappresentavamo. Questa è oggi, più forte che mai. Ma perché siamo deboli. Perché abbiamo cancellato il sole dell’avvenire, come orizzonte permanente della nostra azione. Ma questo è sempre lì; basta guardarlo.

Ti potrebbero interessare