di Lorenzo Cinquepalmi
Repubblica non è solo un modello istituzionale, una forma di governo, l’alternativa alla monarchia. Repubblica è un modo di concepire la società, i rapporti tra le persone, la vita stessa. La scelta fatta dai nostri padri e nonni, in realtà fratelli, nel 1946, non era, come potrebbe apparire a chi è nato in questo secolo, solo quella di sostituire un Capo dello Stato temporaneo ed elettivo a uno vitalizio e dinastico. Scegliendo la Repubblica gli italiani hanno scelto una società civile libera, laica, progressiva. Per noi europei, figli del 1789, spodestare un sovrano e instaurare la Repubblica significa, comunque, improntare la comunità dei cittadini agli ideali di libertà, eguaglianza e fraternità la cui prima affermazione ha tracciato lo spartiacque tra ieri e domani, tra reazione e progresso, tra pregiudizio e tolleranza, tra rassegnazione e speranza. La linfa che vivifica questa struttura sociale e politica è la democrazia, il “metodo democratico” che la nostra costituzione proclama vincolante nei rapporti sociali. Esso impone, in coerenza con il principio nato a Parigi, ribadito dalla Repubblica Romana e architrave della nostra Costituzione, che la sovranità è del popolo e di nessun altro. E che, se il popolo può e deve delegare a chi elegge l’esercizio della sovranità, esso mantiene vivo e concreto il diritto di esercitare un controllo contemporaneo e costante sul potere, con la facoltà incomprimibile, anche se realizzata attraverso i sui rappresentanti eletti, di revocare la delega esecutiva in ogni momento. Abbiamo mandato a casa un re, chi può pensare, senza ledere gravemente il nostro stesso modo di essere, di sottrarci la possibilità di mandare a casa un presidente o un capo di governo? Ecco perché il tentativo di cambiare la Costituzione inibendo il diritto-dovere dei rappresentanti del popolo di licenziare il capo dell’esecutivo, democraticamente e in ogni momento, attenta alla Repubblica, cioè alla stessa essenza della società che abbiamo realizzato. Ma se lo spirito repubblicano è, come è evidente, molto di più della scelta di un modello istituzionale, allora dobbiamo tutti chiederci come coltivare e tramandare questo spirito in generazioni lontane, nel tempo, alla temperie in cui esso si è affermato. Oggi che sono ricordi lontani la guerra, la perdita delle libertà, lo stesso bisogno materiale del tempo da cui nacque la Repubblica; oggi che le conquiste di ottant’anni fa appaiono scontate e perfino usurate dal tempo, chi preserverà la nostra aspirazione a essere liberi ed eguali dagli interessi per i quali la libertà, l’eguaglianza e la fraternità sono un costo, un fastidioso ostacolo allo sfruttamento? Un’occasione è all’orizzonte. Il popolo ha liberamente eletto un parlamento la cui maggioranza di destra sostiene un governo che sui valori della Costituzione nata dalla Resistenza si mostra tanto indifferente da progettare di stravolgerla, sovvertendo l’equilibrio tra esecutivo e legislativo su cui la Repubblica è vissuta fino a oggi. Con la riforma in cantiere, l’elettorato sarebbe chiamato non più a darsi un governo attraverso l’elezione di un corpo di suoi rappresentanti, custode del potere di insediare un governo ma anche di spodestarlo. Si progetta di consegnare il vertice del potere esecutivo a un capo eletto direttamente, senza la concreta possibilità di revocarne l’incarico fino alla sua scadenza predeterminata. Questo, evidentemente, è irrimediabilmente contrario a quell’ideale di intangibile sovranità del popolo che abbiamo descritto. Ecco perché è un’occasione, l’occasione di riportare all’attenzione i tanti che hanno finito per dare per scontate le nostre libertà e i nostri principi. Se quella riforma costituzionale vedrà la luce, la consistenza delle opposizioni in Parlamento, insufficiente per impedirne l’approvazione, sarà però sufficiente ad imporne la ratifica attraverso un referendum popolare. Nascondere il tema nel cono d’ombra della scontatezza, allora, non sarà più possibile, e la nostra capacità di dare corpo al dibattito sulle ragioni di fondo della scelta sarà ciò che farà la differenza. Dovremo far capire che una simile forma di governo non è compatibile con l’essenza stessa del nostro essere repubblicani, perché un sovrano a tempo, anche se è meno peggio di un sovrano a vita, rimane sempre un sovrano e perché un popolo, se è libero, deve poter mandare a casa chi lo governa in ogni momento, anche senza erigere ghigliottine. A questo ci chiama la Repubblica: che il 2 giugno 2024 sia il momento della rinascita di quello spirito che ci ha liberato di un re e, con esso, di tutti i re.