Intervista a Emma Bonino: «Vogliamo la patria europea e non l’Europa delle patrie. Andate a votare. Io e Pannella sognavamo gli Stati Uniti d’Europa»

Intervista di Giada Fazzalari

Chi conosce bene Emma Bonino sa bene di quale tempra sia forgiata. Da cinquant’anni non smette di battersi in nome dei diritti, della laicità e della libertà che sempre sono stati la cifra della sua azione politica, personale ed umana, sempre rivendicando il diritto a manifestare in maniera non violenta, che, come ha ribadito in uno dei discorsi pronunciati in parlamento, è “un pilastro della democrazia, come lo sono il pluralismo e la tolleranza”. La storia dei radicali italiani è indissolubilmente intrecciata con quella dei socialisti: in tutto il corso del secolo scorso, hanno saputo governare i profondi cambiamenti in atto nella società, nello stesso tempo tutelando i diritti di tutti cittadini (la Rosa nel Pugno fu un’esperienza politica di grande valore ed Emma Bonino fu una dei protagonisti insieme a Marco Pannella e lo Sdi). Anche per queste ragioni, e non solo, siamo convinti che la determinazione con la quale Emma ha lanciato un appello a tutti i convinti europeisti di ritrovarsi sotto il vessillo degli Stati Uniti d’Europa, prontamente accolto dai socialisti, sia ancora una volta utile nel percorrere una strada che consenta di cambiare lo stato delle cose, in Europa come in Italia. Un sogno iniziato anni fa che ora che ora può vedere la luce. Le battaglie che ci hanno visto fianco a fianco per una società più giusta e più libera, sono quelle delle quali c’è ancora un grande bisogno; e quelle che siamo orgogliosi di poter combattere ancora insieme.

 

Manca una settimana al voto per le elezioni europee e l’impressione è che la classe politica le stia sottovalutando. E che il governo le stia usando per contarsi in Italia piuttosto che per incidere in Europa. È cosi?

«A me sembra che nessuno abbia messo sul tavolo come priorità il problema dell’Europa, che è il nostro destino. Sui giornali di tutto si è parlato, tranne che di riformare l’assetto istituzionale europeo. Noi vogliamo superare il diritto di veto, dotare l’unione di una politica estera e di difesa comune, l’elezione diretta del presidente della Commissione, dare vero potere legislativo al parlamento europeo, offrire ai cittadini europei un mercato unico del lavoro, dell’energia, dei capitali; vogliamo una politica industriale comune europea e una politica ambientale comune europea. O da soli non ce la faremo mai. Non sarà una passeggiata, certo, ma vogliamo lavorare perché si metta in moto la riforma verso gli Stati Uniti d’Europa. Chi dice meno Europa, dice più Russia, più Cina, più India e meno Italia. Noi ci chiamiamo +Europa e vogliamo un’Europa che parli con una voce sola e che sappia proteggere la libertà e la prosperità dei propri cittadini e imprese. Solo con una Ue forte e integrata avremo anche più Italia nel mondo».

Basta il caos internazionale in atto – due guerre alle porte e nel cuore dell’Europa – per capire quale sia la posta in gioco “vera” di queste elezioni e quanto sia importante eleggere rappresentanti di valore. Qualcuno però si è candidato per andare a Bruxelles per poi non andarci, mettendo i cittadini nelle condizioni di non sapere per chi stanno votando realmente. Non ti sembra una presa in giro?

«Candidarsi senza dare seguito al mandato elettorale cioè senza poi lasciare gli incarichi in Italia per andare al Parlamento europeo, non è illegale, ma non è certo serio. Da parte mia voglio fare un appello agli elettori, anzi due: il primo è andate a votare. Il secondo riguarda gli elettori liberali, europeisti e riformisti,ed è il seguente: il gruppo di Renew Europe sarà determinante nel prossimo parlamento europeo; guardate alla sostanza, non sprecate il voto e andate sul sicuro votando chi ha più chance di portare parlamentari italiani, federalisti, riformisti, europeisti, che si batteranno per far andare nella direzione federale e non sovranista l’Europa. La lista Stati Uniti d’Europa ha candidati eccezionali. Non solo i capilista: io al Nord Ovest, Graham Watson al Nord Est, Gian Domenico Caiazza al Centro, Enzo Maraio al Sud e Rita Bernardini nelle isole; ma penso ad Antonella Soldo, Marco Taradash, Manuela Zambrano, Alessandro Cecchi Paone, Eric Joszef, Marco Salihu. Tutti i nostri candidati se eletti andranno in Europa, al contrario di quelli delle altre liste. Vogliamo la patria europea e non l’Europa delle patrie che poi finiscono per scontrarsi. Non dimentichiamo la lezione del secolo scorso.»

Domani sarà la Festa della Repubblica.

«Non dobbiamo dimenticare che non è una festa nazionalista, ma di patriottismo per la nascita della Repubblica Italiana. E di patriottismo, ma in senso europeo, che ha ispirato i Padri e le Madri fondatori dell’Unione europea confinati a Ventotene dal fascismo. L’Europa nasce dalla liberazione dal nazifascismo per consolidare le democrazie europee e scongiurare il ritorno dei conflitti nel continente».

Sono anni che chiedi, per l’Europa, una politica estera e di difesa comune. L’Unione europea richiama la necessità di un esercito europeo comune solo in momenti di tensione e di crisi internazionale. Pensi siano maturi i tempi?

«Noi vogliamo il salto di qualità, cioè gli Stati Uniti d’Europa: senza una politica estera europea non può esserci una difesa comune europea. Ogni decisione anche in campo militare deve essere in capo alla politica. Ma con le crisi e le guerre alle porte, è essenziale il superamento del diritto di veto con il voto a maggioranza in tutte le materie. Ed è proprio questo a cui si oppongono tutti i partiti sovranisti: vogliono conservare il voto all’unanimità. Orban, Vox, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni ambiscono a conservare l’Europa che c’è, un’Europa di piccole patrie, bloccate dai veti. Noi vogliamo l’opposto: una grande Patria europea, un’Europa più forte e coesa nel mondo. L’ alternativa a tutto questo è l’irrilevanza. I prossimi cinque anni devono essere anni costituenti per la Ue, prima dell’allargamento ad altri Paesi. Altrimenti rischieremo la disgregazione: si immagina un consiglio europeo con trentasei capi di Stato e di Governo che devono decidere all’unanimità? L’Europa sarebbe ancora più paralizzata di ora».

Tra libertà di stampa messa a rischio dall’occupazione sistematica del governo dei mezzi di informazione, candidati che sostengono che l’omosessualità non sia normale e il dibattito che si è riacceso sulla 194, credi che questo governo stia lavorando per comprimere i diritti individuali?

«Il governo di Giorgia Meloni si sta rivelando per quello è, con una lenta ma inarrestabile compressione dei diritti. Per loro ogni differenza è una devianza, non riescono ad andare oltre il modello di famiglia del Mulino Bianco. Peccato che la società sia oltre. E lo è già da tempo. È molto più avanzata di quanto il governo pensi. I movimenti pro-life nei consultori che fanno ascoltare il battito del feto per convincere le donne a non abortire, sono il segnale che bisogna tornare a mobilitarsi con forza per difendere i nostri diritti. Ecco perché è importante l’Europa ed è importante difenderla: è uno spazio di libertà che noi diamo troppo per scontato ma a cui molti aspirano. Si veda in Georgia, dove centinaia di migliaia di persone scendono in piazza a manifestare imbracciando la bandiera europea».

Questo Paese è divenuto più libero e più civile anche grazie alle tante battaglie che hanno visto insieme socialisti e radicali. C’è ancora spazio e necessità per queste battaglie?

«Come dicevo, oggi la battaglia è duplice: da una parte difendere i diritti messi a repentaglio dal governo Meloni; dall’altro tentare con forza di strapparne di nuovi. Penso al certificato di filiazione europea, per superare la crudeltà dell’annullamento delle trascrizioni dei certificati di nascita delle bambine e dei bambini di coppie omogenitoriali. Ecco, questa è una battaglia non solo di diritti delle persone Lgbt, ma di vera e propria cittadinanza europea».

Gli Stati Uniti d’Europa sono un sogno, anche socialista, che ha radici antiche. È il momento giusto?

«Con Pannella chiedevamo gli Stati Uniti d’Europa già trent’anni fa sulle orme di Einaudi, Rossi, Colorni e Spinelli. Allora era troppo presto forse, oggi rischia di essere troppo tardi».

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