Una nuova era per il lavoro

di Enzo Maraio

La Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Ue perché il Governo non ha posto fine all’utilizzo irregolare di contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie. La Commissione infatti ritiene che l’Italia non disponga delle norme necessarie per vietare la discriminazione in relazione alle condizioni di lavoro e l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato. Una piaga, quella del lavoro precario, che questo governo non ha intenzione di debellare; anzi, con l’ultima manovra di bilancio e gli ultimi provvedimenti sul lavoro, ha continuato a sfavorire una nuova contrattazione volta a rendere stabile il lavoro. Ancor peggio, da quanto trapela, si farà con la nuova manovra di bilancio, attraverso la quale il Governo sembra intenzionato a gestire le piccole mancette elettorali della Meloni, mettendone in carico il costo soprattutto ai lavoratori. In questo preoccupante scenario si inserisce la proposta delle opposizioni che prevede lo svolgimento lavorativo della settimana corta. Una proposta che prende spunto dalla riforma delle norme sull’occupazione messa in campo nei primi cento giorni del suo mandato dal governo laburista inglese guidato da Keir Starmer. Così come aveva promesso nel corso della campagna elettorale laburista; proposta che aveva raccolto un enorme consenso. È una previsione normativa che giudichiamo di buon senso, in grado di riformare il sistema lavorativo italiano e che si pone come una importante sfida per la coalizione progressista italiana: opporre, alla idea di una contrattazione a termine e instabile, una maggiormente detassata per favorire le imprese, a pari stipendio per i lavoratori e a fronte di un numero minore di ore di lavoro. Una proposta applicabile soprattutto ai lavoratori precari della scuola, i più penalizzati fra i dipendenti pubblici. Infatti la legislazione italiana che determina la retribuzione dei docenti a tempo determinato nelle scuole pubbliche, non prevede una progressione salariale incrementale basata sui precedenti periodi di servizio. Ciò costituisce una discriminazione rispetto ai docenti assunti a tempo indeterminato, che hanno invece diritto a tale progressione salariale. I docenti italiani, oltre ad avere gli stipendi più bassi d’Europa, hanno anche meno diritti. E dove c’è un lavoratore che subisce una ingiustizia, ci sarà sempre un socialista pronto a difenderlo.

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