di Enzo Maraio
In Medio Oriente si è presa una brutta piega. Lo dico in principio: contestare le scelte del governo Netanyahu non significa essere anti semiti o essere contro il popolo di Israele, anzi. Siamo decisamente convinti che abbia il pieno diritto di difendersi dagli attacchi spregiudicati dei terroristi di Hamas. Ma la strategia del governo israeliano di distruggere tutto ciò che potrebbe nascondere i terroristi, sta mettendo Israele in una condizione complicata. Ne è la prova l’ultima uscita del premier israeliano contro l’Onu e la missione Unifil colpevole, a suo giudizio, di fare da “copertura” ai miliziani di Hezbollah. Assurdo. A farne le spese sono i civili: quarantamila morti solo nella striscia di Gaza, a cui si stanno aggiungendo gli innumerevoli civili libanesi sotto gli attacchi a tappeto dell’esercito israeliano. Una ecatombe. La questione israeliana è esplosa nuovamente in un momento in cui il governo Netanyahu era in estrema difficoltà per la tenuta interna e così ha rigettato tutta l’attenzione alla difesa dei confini. Ma quella difesa oggi sembra proprio che si sia trasformata in un attacco deliberato anche alle forze diplomatiche internazionali. Le ripetute provocazioni al contingente Unifil, che non possono essere derubricati a mero errore, dimostrano tutta la spregiudicatezza di Netanyahu che deliberatamente sta attaccando il contingente internazionale perché non ha assecondato le richieste di Israele di un ritiro dal territorio libanese, evitando che quest’ultimo restasse in balìa delle incursioni dell’esercito israeliano. Prima che la situazione degeneri definitivamente, è necessario che tutti gli attori in campo si assumano la responsabilità di avviare le trattative per un cessate il fuoco immediato e discutere della pace. Pace che va “stimolata” anche dagli attori esterni al conflitto, che non possono restare indifferenti a quanto sta succedendo. Non è sostenibile, alle soglie del 2025, che il diritto internazionale non venga rispettato, che le decisioni assunte nelle organizzazioni internazionali non vengano rispettate, che prevalga ancora la via dei singoli nazionalismi sull’interesse collettivo mondiale della pace. La via diplomatica è la strada da seguire se si vuole dare una svolta ai conflitti in essere; ma per farlo è necessario che le piazze di tutto il mondo si riempiano di persone, soprattutto di giovani, che chiedano ai governi di tutto il mondo l’assunzione delle proprie responsabilità di fronte alle bombe e ai cannoni. Responsabilità che devono assumere anche i governi occidentali, a cominciare da quello italiano, cessando l’invio di armi in una zona di conflitto così cruento. Lo chiediamo con fermezza. Non è il momento delle ambiguità.