Sindaci contro il Governo per il tresferimento dei migranti. E’ iniziato lo scaricabarile, manca una strategia condivisa

di Andrea Follini

I sindaci sono sul piede di guerra. Specialmente quelli del nord del Paese. La scelta del Governo di trasferire nei loro territori i disperati delle carrette del mare, sbarcati nei mesi scorsi sulle coste delle nostre isole del meridione, non li rende tranquilli. Quasi tutti sono propensi ad un’accoglienza che sia il più possibile diffusa e con numeri contenuti. Altri, più in difficoltà nel comprendere come il fenomeno migratorio sia di per se incontenibile, quando a scappare sono persone in cerca di un futuro migliore che i Paesi di provenienza non sono in grado di offrire loro, alzano invece le barricate, costituiscono o sponsorizzano comitati contro, esprimono piena contrarietà alle scelte operate dal Governo di destra, anche se politicamente “amico”. Tra i tanti problemi collegati, per i sindaci c’è anche la spinosa questione dei minori non accompagnati, che costituiscono un vero problema nel problema, e con costi non indifferenti, che per molti municipi diventano davvero insostenibili. Una situazione peraltro che non è destinata a vedere numeri in contrazione; tutt’altro. Roberto Ammatuna è sindaco di Pozzallo (Ragusa) dal giugno 2022. E’ stato eletto con il supporto anche della lista del Partito Socialista Italiano, che ha raccolto l’8,3% dei consensi in città. Pozzallo è da sempre uno dei principali punti di arrivo in Sicilia dei barconi carichi di disperati, provenienti dal nord Africa. Ammatuna non fa tanti giri di parole quando, intervistato dall’Adnkronos, punta il dito sui suoi colleghi del nord Italia: “Ai sindaci del nord che si lamentano per la distribuzione dei migranti dico solo che l’Italia è una e deve essere solidale. Quando, nel passato, tutto il carico era dei comuni siciliani, specie quelli di frontiera, noi abbiamo sopportato questo tipo di situazione. I problemi dell’immigrazione non si risolvono con la guerra tra poveri. Nonostante i numeri siano elevati non possono mettere in crisi un Paese come il nostro. Insomma, a essere sincero, mi sembrano atteggiamenti demagogici”. E quando parla di atteggiamenti demagogici, il sindaco evidentemente non sbaglia. La narrazione cui eravamo abituati nel periodo di governo del centro sinistra, dove non mancava giorno nel quale ci venisse ricordato come l’arrivo dei barconi mettesse a rischio la sicurezza del nostro Paese, ha improvvisamente cambiato registro con la presa di potere della destra. Come se il problema non esistesse più. Quando poi è diventato impossibile non prendere nella dovuta considerazione il numero elevato di migranti sbarcati sulle nostre coste (ma anche lungo rotte alternative come quella balcanica) è caduto il velo di ipocrisia e la destra ha scoperto che i bei tempi nei quali dall’opposizione si alzava la voce e si sparava ad alzo zero sul Governo di turno, giudicato incapace di “impedire l’invasione”, erano finiti. Governare è un’altra cosa; è affrontare i problemi per risolverli, non solo puntare il dito. I dati emessi dal Ministero dell’Interno circa la situazione relativa al numero dei migranti sbarcati dal 1 gennaio 2023 al 21 agosto 2023, comparati con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2021 e 2022 sono impietosi: 35.349 nel 2021, 50.759 nel 2022 e ben 105.449 nel 2023, più che raddoppiati rispetto allo scorso anno. Finito il tempo delle minacce dei blocchi navali, del respingimento delle carrette del mare e di tutte le altre corbellerie sparate dalla destra negli anni passati, ora il Governo deve governare e su questo tema la ormai consueta tattica del rimandare le decisioni al futuro non è praticabile. Quindi per prima cosa è parso necessario diminuire la pressione negli hot spot siciliani, trasferendo in altri territori i migranti, in attesa degli accertamenti sul diritto d’asilo, dando corso a percorsi di integrazione che potessero in qualche modo rispondere al problema, almeno nell’immediato. Da tempo sono state delegate le Prefetture a gestire gli arrivi dei trasferimenti dalle isole verso i comuni, anche del nord, utilizzando temporaneamente le strutture reperibili nei territori e prediligendo quelle comunità ove percorsi di integrazione fossero già stati sperimentati con successo nel passato. E qui è cominciato il corto circuito: sindaci di destra, soprattutto veneti e lombardi, hanno alzato gli scudi contro il Governo Meloni e le sue politiche di mancato contenimento migratorio. Amministratori, in modo particolare della Lega, sono stati promotori in alcuni casi di comitati contro il trasferimento dei migranti nel loro territorio, aumentando le frizioni interne alla destra soprattutto con i rappresentanti locali di Fratelli d’Italia, ovviamente più propensi ad appoggiare il Governo in questa partita. Sulla questione è intervenuto da tempo anche con il Presidente leghista del Veneto Luca Zaia, secondo il quale “lasciare la gestione dei migranti alle Prefetture significa trovarsi con le tendopoli” nei territori, sollecitando quindi i sindaci a fare la loro parte accettando una distribuzione il più possibile diffusa di queste persone nelle comunità, piuttosto che accentrarle in un’unica struttura. Magari da crealizzare in modo, diciamo così, “estemporaneo”. Dello stesso avviso anche il Presidente di Anci Veneto e sindaco leghista di Treviso, Mario Conte, che per questo motivo è stato anch’egli oggetto di attacchi dai suoi compagni di partito. La presenza diffusa sui territori dei migranti in attesa della definizione dell’iter burocratico delle richieste d’asilo, è da sempre la soluzione proposta dal centro sinistra, perché la meno impattante e decisamente la più pratica. E dove è stata sperimentata, con il supporto economico diretto dello Stato attraverso i programmi Sai (sistema di accoglienza e integrazione), finanziati con il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, è risultata vincente. Di fronte al crescente numero di sbarchi e di conseguenti trasferimenti, dopo le politiche demagogiche del centro destra al Governo (vedi decreto Cruto), sono anche i sindaci di centro sinistra ad alzare la voce, rifiutando l’idea dell’attivazione di Cas – Centri di accoglienza straordinaria (già peraltro aumentati da questo Governo, creando circa 12.000 posti in più) che tanti problemi hanno creato nelle comunità dove sono stati attivati. E’ una questione di buon senso, che evidentemente non alberga in chi invece ne fa una questione di principio e, a dirla con il sindaco di Pozzallo, ideologica. La confusione non manca. E come spesso accade i sindaci sono chiamati a risolvere problemi con armi spuntate. Il Governo pensa a soluzioni tampone, come una rivisitazione del criterio di assegnazione del numero di migranti non solo sul parametro della popolazione residente nella singola regione, bensì anche dell’ampiezza territoriale della stessa. E pensa anche ad una intensificazione ed accelerazione delle verifiche per accertare se al singolo migrante spetti o meno un’assistenza così articolata oppure abbia già maturato, se in Italia da tempo, la possibilità di essere integrato nelle comunità ospitanti, avendo ottenuto l’asilo oppure essendo nella possibilità di lavorare e quindi di sostenersi. Nessuno pare ancora interrogarsi, però, sull’origine del problema e proporre alternative, anche creative, sul contenimento del fenomeno, anche in una prospettiva internazionale. Alla Libia, da molto tempo tra le principali basi di partenza dei migranti verso il nostro Paese, si è da un po’ aggiunta anche la Tunisia. In entrambi i casi appare chiaro che a nulla sono serviti contatti tra le diplomazie, tra i Governi, e visite di Stato in pompa magna. Forse il fenomeno appare troppo complicato. Forse nei Paesi nordafricani coinvolti nel fenomeno, gli interessi economici in questa partita sono talmente pesanti che una soluzione rasenta l’impossibilità. O forse a mancare è la capacità d’essere incidenti con quei Governi. Fatto sta che gli sbarchi continuano e continueranno. E nell’improvvisazione cui sono costretti da questo Governo, ancora una volta i sindaci, tradizionale ultimo anello della catena dello scaricabarile, dovranno inventarsi per l’ennesima volta qualcosa.

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