Meloni, l’amico americano e “la decima Musk”

di Alessandro Silvestri

Anno nuovo, grane vecchie. Da Teheran a Mar-a-Lago passando per Acca Larentia, proprio mentre l’estrema destra continua la sua espansione fino alle Alpi Orientali. Nella residenza del presidente neoeletto Trump in Florida, si è già palesata la cosiddetta “Decima Musk” con Milei, Orban e la Meloni che si sono precipitati a baciare l’anello: incazzosi sovranisti a casa loro, fedeli imperialisti in allegra gita alla corte di Trump II. Secondo le indiscrezioni, due i principali temi nel blitz meloniano: il caso Cecilia Sala e il “contrattino” da 1,5 miliardi per cinque anni, con la Starlink dell’amico e secondo console Elon Musk, comandante in capo della “decima”. Una mossa che ha creato non poco scompiglio sia nella Ue che negli altri governi del Continente, tanto che non appena la Meloni a Fiumicino ha disattivato la modalità “aereo”, il suo telefono ha cominciato a fare i botti di Capodanno, pur se in leggero ritardo. Perché è del tutto evidente che su un tema così delicato come la sicurezza delle telecomunicazioni non si può che giocare una partita tutta europea, e a latere, tra gli alleati Nato, visto che abbiamo una guerra in corso che lambisce l’Europa. Si fa presto a trasformare gli aleatori successi su social e stampa amica, in disastri politici e diplomatici di vasta portata. Stesso problema che si è verificato sulla vicenda Sala. Un caso che a cose normali avrebbe dovuto essere gestito dai canali diplomatici naturali (considerando che i servizi poco segreti hanno sempre una parte eminente in questo settore) e che invece è diventato un guazzabuglio così complicato da far sentire il bisogno alla Premier, di correre negli Usa per sbrogliare una matassa sempre più intricata, e al capo dei nostri servizi di dimettersi anzitempo dopo una lunga serie di palmari “incomprensioni”. Cecilia Sala, ragazza di buona famiglia e giornalista lanciata da Michele Santoro, oggi collaboratrice del “Il Foglio” e di “Chora media” si trovava in Iran per realizzare alcune puntate del suo podcast “Stories” ed evidentemente anche certi suoi precedenti reportage e articoli sul regime iraniano, non devono essere piaciuti granché al governo di Teheran. E così, non appena è venuto utile, è stata arrestata ed imprigionata in totale isolamento, per un crimine di per sé stesso criminale. Quello contro la rivoluzione, contro la religione, o semplicemente contro il potere costituito. E l’occasione è arrivata non appena a Malpensa è stato fermato dalla Digos l’ingegnere iraniano Moham- mad Abedini, esperto di droni, su mandato di cattura internazionale americano, esattamente lo stesso giorno nel quale negli Usa veniva arrestato il suo collega e connazionale Sadeghi, sospettato pure lui di aver fornito illecitamente all’Iran, componenti elettronici per usi industriali e militari. Dopo una serie di notizie rimbalzate dall’Iran sul caso Sala/Abedini che hanno alimentato non poco una stretta correlazione tra i due arresti, adesso da Teheran si affrettano invece a smentire ogni tipo di legame, ribaltando sull’Italia l’accusa di sequestro di persona immotivato del cittadino iraniano. Il bue che indica le corna dell’asino. Evidentemente l’innalzamento del livello politico e mediatico che da bilaterale è divenuto internazionale, grazie alle mosse della Meloni, ha fatto sì che il muro contro muro diventasse ancor più consistente. Cecilia Sala è una professionista, e come tutti i colleghi sa perfettamente i rischi che si corrono nei teatri di guerra e nei Paesi sotto dittatura. A Gaza sono già oltre duecento i giornalisti morti dall’inizio della guerra, e fino ad oggi non si ricorda alcuna manifestazione di pubblico cordoglio. Ciò non significa certo che l’Italia non debba compiere ogni attività politica e diplomatica utile a riportare a casa Cecilia, tutt’altro. Ma come abbiamo visto, l’ormai nota ansia da prestazione di Giorgia Meloni e del suo entourage fa spesso compiere loro astrusi tragitti di rette parallele, che rasentano la più disarmante ingenuità. Tra il dire e il fare esiste ancora una gran bella differenza. E per la nostra collega e connazionale, la cui incolumità vale più di qualsiasi altra cosa, l’ingiusta sofferenza comminatale rischia di allungarsi ulteriormente, per manifesta incapacità di gestire gli affari internazionali del nostro Governo.

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