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Una risposta che ci lascia basiti perché ci fa pensare che si sia chinato il capo di fronte alle pressioni di forze politiche autoritarie per motivi elettorali. Quando il rappresentante del governo turco sostiene che le leggi nazionali sono sufficienti a garantire la protezione delle donne, dimentica di dire, per citarne una, che l’ufficio del presidente Erdogan ha rilasciato dichiarazioni in cui denunciava la convenzione come il tentativo di un gruppo di persone di ‘normalizzare l’omosessualità, cosa incompatibile con i valori sociali e familiari della Turchia’. Un doppio passo indietro, quindi, che include anche la tutela dei diritti della comunità Lgbt. Abbiamo manifestato, con bandiere rosse e sciarpe viola, nei pressi dell’Ambasciata turca a Roma. Proprio mentre, durante le comunicazioni in Aula al Senato sul prossimo vertice europeo, il Presidente Draghi esprimeva preoccupazioni che ci incoraggiano a proseguire questa battaglia di civiltà. L’Italia ha il dovere di intervenire guidando, in questo pezzo del Mediterraneo, la partita dei diritti civili. Lo dobbiamo fare per ragioni storiche, sociali ed economiche. Solleciteremo i socialisti europei verso azioni più incisive in Europa che portino la Turchia a rivedere la sua decisione. E perchè intervenga contro l’escalation di violenza della repressione avviata da Erdogan verso i dissidenti e le minoranze. Da Bruxelles dovranno arrivare segnali più chiari. E se non è questo il momento perché l’Unione Europea batta un colpo, allora quando?