di Luigi Iorio
II sistema detentivo in Italia è ormai da decenni al collasso. I numeri ancora una volta evidenziano come nel nostro Paese i detenuti scontino una doppia pena: quella prevista dal codice penale e quella perpetrata attraverso modalità di detenzione lesive dei principi del diritto e della dignità umana, come più volte richiamato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Al 3 giugno 2024 erano 61.480 le persone detenute, a fronte di una capienza ufficiale di 51.234 posti, 2.682 le donne presenti, 22 i bambini in carcere con le loro madri, 532 i minorenni reclusi. I detenuti in attesa di primo giudizio 9.213. I detenuti stranieri sono 19.213, una percentuale pari quasi a un terzo, provenienti in ordine decrescente dei seguenti paesi: Marocco, Romania, Albania, Tunisia, Nigeria, Egitto. Seguono altre diverse nazionalità. Cresce dunque il tasso di affollamento che raggiunge a livello nazionale il 119,3%. Il sovraffollamento carcerario nel nostro Paese costituisce tuttora una vera e propria piaga sociale, una peste di Stato come spesso amava ribadire Marco Pannella. Dalla fine del 2019 alla fine del 2020, a causa delle misure deflattive adottate durante la pandemia la situazione era tornata quasi alla normalità. Nei mesi successivi alla pandemia, lentamente si è avuto un aumento delle presenze di 770 unità nel 2021, a cui però è poi seguita una crescita che ha riportato nel 2023 la popolazione detentiva a 60.166. Come emerge dai dati nel primo semestre del 2024, si è avuto un ulteriore incremento di oltre 1000 detenuti. Dietro questa tendenza si nascondono la maggiore lunghezza delle pene comminate, la minore predisposizione dei magistrati di sorveglianza a concedere misure alternative alla detenzione o liberazione anticipata, ma soprattutto nuove fattispecie di reati volute dal governo in carica. A tal proposito va ricordato che l’innalzamento di pena del cosiddetto “decreto rave”, è proseguita con il decreto Caivano; in futuro negativi sviluppi si avranno a seguito del DDL Sicurezza. I parametri della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, nel rapporto capienza/presenza, non sono rispettati in tutti gli istituti di pena del territorio nazionale. Ci sono detenuti sistemati in uno spazio inferiore a tre metri quadri, spazio al di sotto del quale si vive in uno stato di tortura, come previsto dalle raccomandazioni europee e ribadito nei motivi della sentenza “Torreggiani”. Ulteriore problema il proliferare di gravi patologie, una vera e propria emergenza sanitaria che coinvolge tutti coloro che vivono e lavorano in carcere, il 12% delle persone detenute ha una diagnosi psichiatrica grave, il 20% persone detenute (oltre 15 mila) fa regolarmente uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, cioè di quella tipologia di psicofarmaci che possono avere importanti effetti collaterali; il 40% fa uso di sedativi o ipnotici (Report Antigone 2024). La cosa che sta destando massima preoccupazione sono le innumerevoli morti nel primo semestre del 2024. Dopo il 2022, l’anno da record con 84 suicidi accertati e 87 per cause varie, il 2024 con già 56 suicidi e 64 morti per altre cause rischia di superare i numeri del 2022. Il Governo sta provando a correre ai ripari con l’approvazione di un apposito decreto. Il provvedimento promosso dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, viaggia sostanzialmente su due binari: semplificare le procedure per accelerare i tempi della burocrazia nel carcere e umanizzare gli istituti garantendo anche l’alternatività della pena in comunità. Il decreto prevede anche assunzioni di nuove unità di polizia penitenziaria. Purtroppo negli anni di provvedimenti di urgenza sul tema carceri ce ne sono stati tanti, sempre per tamponare l’urgenza mai per risolvere il problema in modo strutturale. Anche questa volta, siamo di fronte all’ennesima occasione persa. Il tema della depenalizzazione annunciato da Nordio prima di diventare Ministro, sembra un miraggio; nell’ultimo anno sono stati introdotti ventidue nuovi reati. Il governo annuncia più uomini e donne in divisa, senza dire che lo scarto con chi va in pensione è sempre negativo, e promette nuovi posti in carcere. Secondo Mauro Palma, per anni garante dei detenuti: «Si tratta di un provvedimento inadeguato perché distante anni luce dalla drammaticità che viene vissuta negli istituti, avrà pochissimi effetti e certamente non immediati». Secondo le associazioni che vivono il mondo del carcere, le misure non saranno affatto sufficienti a invertire la tendenza e a migliorare le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari italiani. Una delle critiche più forti arriva da Antigone, tra le più autorevoli associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti e che ha definito le misure proposte “afflitte da minimalismo” e inadeguate. «Queste misure non incideranno sul sovraffollamento – ha dichiarato il presidente Patrizio Gonnella – Sarebbe stato necessario ben altro per produrre una controtendenza nella crescita dei numeri o nella qualità della vita penitenziaria». Sull’emergenza sovraffollamento torna anche l’Anm, che non risparmia critiche al provvedimento varato dal governo. «Se oggi il l’emergenza è il sovraffollamento nelle carceri non trovo nessun tipo di risposta nel decreto – afferma il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia – Ce ne potevano essere tante, non c’è nessun tipo di strumento che consenta uno sfoltimento del numero dei detenuti». Per il sindacato delle toghe in questo modo “il carcere diventa criminogeno: deve privare soltanto della libertà, non degli altri diritti. Deve essere il luogo della rieducazione e risocializzazione, non il luogo della sofferenza”. Possiamo dire, e noi del PSI lo abbiamo detto da tempo indicando anche i necessari interventi, che il problema carcerario in Italia è ormai esploso in tutta la sua virulenza. Che non è più tempo di pannicelli caldi, e tanto meno di varare misure che aggravano il problema anziché alleggerirlo. È invece tempo di porre questo problema al centro dell’agenda politica e di adottare una serie di misure coraggiose ed innovative che consentano di uscire dall’emergenza, una volta per tutte.