di Alessandro Silvestri
E così, anche il 2024 non sembra partire affatto col piede giusto per Giorgia Meloni. Dal fumoso discorso di “fine anno” del 4 gennaio, all’insegna di un impietoso debunking sulle numerose frottole propinate, al manipolo di camerati a braccia tese ad Acca Larenzia, è un continuo e costante non ingranare la marcia giusta. Quasi come non ci fosse contezza in cabina di regia che il Paese è sotto osservazione internazionale. Perché nessuno ignora o dimentica, che abbiamo a che fare col primo governo di destra post fascista della Repubblica italiana. E sì che le impegnative elezioni di quest’anno si avvicinano col vento in poppa e il vento, spesso e volentieri, quando meno te lo aspetti, cambia di direzione o si affievolisce di botto. Si comincia a febbraio in Sardegna e già il destra-centro è in difficoltà sul nome del candidato presidente. Salvini vorrebbe confermare Solinas, la Meloni punta sul confratello Truzzu. Se il centro sinistra combattesse compatto, darebbe seriamente filo da torcere e potrebbe riprendersi almeno tre regioni sulle cinque al voto. Davvero era impossibile tenere dentro anche Renato Soru e Azione? Vedremo quanto Alessandra Todde sarà capace di compattare e rappresentare il “campo largo” – sostenuta anche dalla lista socialista benedetta la scorsa settimana a Cagliari da Enzo Maraio – ufficialmente al via in queste amministrative un po’ in tutti i 3700 comuni. Anche perché (europee a parte dove si vota col proporzionale) il bipolarismo coatto italico, così amato dai segretari dei principali partiti, è in realtà uno strumento piuttosto traballante visto che si nutre di coalizioni, spesso conflittuali e litigiose, e non si basa su di un bipartitismo solido e istituzionalizzato da secoli, come ad esempio nei Paesi anglofoni. Tanto che ha avuto un certo qual bisogno di natura “psicosomatica” di rinominare de facto ma non de jure, i presidenti di Regione in governatori e il presidente del Consiglio in Premier o Primo ministro. Chissà cosa ne penserebbero i padri costituenti. L’altra faccia della medaglia bipolarista, come già accennato, è rappresentata dalla continua competizione interna. Nell’attuale maggioranza la sfida è tutta a destra e lo sarà anche alle europee dato che la Lega a Bruxelles sta con quelli ancora più a destra della Meloni, mentre Tajani cerca sempre più frequentemente di ribadire l’appartenenza di Forza Italia al PPE e anche nei giorni scorsi, sul raduno fascista di Acca Larenzia ha rumorosamente stigmatizzato l’accaduto con un richiamo alle leggi vigenti che vietano tutto l’armamentario folkloristico (e non) degli irriducibili in camicia nera. Stesso richiamo fatto oltre che dalle opposizioni – Psi, Pd, 5Stelle, Verdi e Sinistra, IV, Azione – dal presidente della comunità ebraica romana, Victor Fadlun. Questo discorso non sembra al momento preoccupare affatto la leader di FdI, che anzi è propensa ancor di più a scommettere sul proprio appeal come capolista in tutti e cinque i collegi per trainare al massimo il suo partito. Pazienza se gli elettori che la voteranno non la vedranno in Europa, visto che poi dovrà dimettersi un minuto dopo. Certo è che servirebbe all’uopo un articolino di legge piccolo piccolo che impedisca ai capi di governo in carica, di candidarsi. Evidentemente il Parlamento di nominati dai capi-partito è in altro affaccendato… Giorgia la grintosa è pronta in ogni caso a fare a fettine gli incauti avversari in prima serata, avendo lanciato già il guanto di sfida alla Schlein in un faccia a faccia televisivo che si prevede storico. E subito Conte se l’è presa a male, alzando il ditino e ricordando che lui è già stato presidente del Consiglio due volte e che insomma, un minimo di considerazione signore… Peccato che l’avvocato del popolo si sia buttato nel frattempo in una cosa così poco politicamente dignitosa come la “questione morale” di berlingueriana memoria, nel tentativo di fregare un po’ di voti al Pd. Staremo a vedere quanto pagherà questa “strategia” che odora di stantio e soprattutto quanto beneficio porterà al “campo largo”. Temiamo assai poco. Matteotti, Croce, Rosselli o Bobbio, non sono evidentemente alla portata di tutti.