L’affaire Sgarbi e i nuovi imbarazzi per il Governo

di Alessandro Silvestri

A chi pensava che la vicenda Sgarbi si concludesse in un paio di sedute del Cdm, tocca raccomandare calma e gesso, che le bilie sul tavolo in pesante ardesia rivestita di panno verde, non sono ancora ferme. Ufficialmente le sue dimissioni prima annunciate e poi ritirate, poi forse trasformate in autosospensione, ma con paventato ricorso al Tar, e chiarite ulteriormente con: “affiderò le mie dimissioni solamente nelle mani della Meloni” sono state determinate ufficialmente dall’Antitrust (toh, chi si risente) per via di una incompatibilità tra la carica di sottosegretario di Stato e le sue attività a pagamento. Una violazione della legge sul conflitto di interesse, insomma. Evidentemente una scappatoia più confortevole rispetto all’uscita di scena assai meno gloriosa causata – vale la pena di riavvolgere il nastro e raccontare come sono andate le cose – dall’inchiesta in corso della Procura di Macerata sul presunto furto di un dipinto di Rutilio Manetti, pittore senese del ‘600, noto come la “Cattura di San Pietro” avvenuta nel 2013 nel castello di Buriasco, in Piemonte, e riapparso miracolosamente restaurato e (pare) ritoccato, a Lucca nella mostra del 2021 “I pittori della luce” e di proprietà giustappunto di Sgarbi. Inchiesta scaturita dalla trasmissione “Report” di Sigfrido Ranucci e rilanciata sul Fatto da Marco Travaglio, entrambi bersaglio degli strali e delle urla spagnolesche del nostro particolare “stupor mundi”, in buona compagnia della Gruber, del ministro Sangiuliano (reo di aver diffuso delle lettere anonime che lo riguardano) delle opposizioni, dello stesso Antitrust e degli ex collaboratori che stanno spifferando ai quattro venti. L’ormai ex sottosegretario utilizza ogni mezzo per discolparsi, soprattutto i social che usa per sparare ad alzo zero sui suoi “nemici”. Quindi ripetiamo, preparate l’aperitivo, quello bello lungo, perché la faccenda non si esaurirà tanto presto! Anche a Ferrara, terra natia del noto critico d’arte, in un infuocato consiglio comunale, con la destra in maggioranza per la prima volta dal dopoguerra, è stato un ping pong di attacchi e contrattacchi, per via degli incarichi detenuti da Sgarbi, soprattutto la presidenza di “Ferrara Arte” dai quali le opposizioni hanno chiesto le dimissioni. E così tra un “siete politicamente dei miserabili” di Anna Ferraresi del gruppo misto, alla maggioranza, a un “garantisti a targhe alterne” di Francesca Savini (Ferrara Nostra) alle opposizioni, spicca la candida uscita del capogruppo dei pentastellati ad invocare una sempreverde “questione morale”. Nello scontro frontale, degno di nota e di una certa qual meraviglia che non mancherà tra i nostri lettori, l’uscita del piddino Davide Nanni: “Non siamo né populisti né manettari e non accettiamo lezioni di garantismo dagli eredi di chi, in parlamento, agitava cappi e lanciava monetine davanti agli hotel”. È del tutto lecito e anche piuttosto scontato, attenderci adesso la reazione a catena di tutti gli enti pubblici e privati dei quali Sgarbi fa parte, da Arpino (dov’è sindaco) a Rovereto, da Urbino a Riva del Garda, da Viterbo a Codogno. Anche perché, e noi socialisti lo sappiamo bene, in questo paese vige il rito, barbarico e tribale, di bastonare il can che affoga. Dal fronte Palazzo Chigi, Giorgia Meloni, tramite cablogramma, fa sapere di aver accettato le dimissioni con esito immediato. Quale algida solerzia! Vedremo prossimamente come intenderà affrontare le altre questioni di incompatibilità all’interno del suo governo, tra quelli un po’ disattenti nel mischiare affari pubblici e privati. Ove mai ce ne fossero, naturalmente.

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